Chi vuol muovere il mondo, muova prima se stesso. (Socrate)
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giovedì 18 dicembre 2008

Alle 20:45 di ieri 17 dicembre 2008 in cento, tra studenti e dottorandi dell'Onda romana (Sapienza e Roma 3), abbiamo fatto irruzione all'interno del teatro Argentina. Al grido "Noi la crisi non la paghiamo" abbiamo conquistato il palco e abbiamo letto un comunicato, frutto del lavoro dell'assemblea tematica su "Welfare e nuovi diritti". Il direttore di sala ci ha invitato a rimanere e dunque abbiamo potuto assistere gratuitamente allo spettacolo Porcile, scritto da Pasolini e con la regia di Massimo Castri.
L'azione di ieri è la seconda, dopo quella di tre settimane fa avvenuta presso il teatro Valle, l'obiettivo è quello di ottenere un tavolo con l'Eti (Valle e Quirino) e con l'associazione Teatro di Roma (Argentina, India etc.) al fine di contrattare una tariffa ridotta per gli studenti (non più di 5 euro) almeno due volte alla settimana.

La cultura è un diritto, l'accesso va garantito a tutte e tutti!

Al termine dello spettacolo la compagnia ha letto un comunicato in cui si è detta felice di aver recitato per l'Onda.
Una grandissima soddisfazione, un modo splendido per chiudere l'anno in bellezza!

Il movimento non si ferma!
Fuori, per strada, nei teatri, nelle facoltà, nelle relazioni, nella quotidianità, nel dissenso, nelle passioni, nelle rotture, nelle divergenze, nell'unanimità, nelle differenze, nelle pratiche dirette, nelle corse improvvise, nelle strade conquistate!

Fuori il mondo è tutto da costruire!

venerdì 21 novembre 2008

Terzo Workshop -Lavoro e Formazione

Ricerca, formazione, lavoro. Sono questi i temi di cui abbiamo discusso
durante la giornata di ieri, partendo dal nostro punto di vista, dal punto di
vista dell'onda. Abbiamo chiamato il nostro percorso autoriforma, un
autoriforma che viene dal basso dell’università. Autoriformare dal basso per
noi vuol dire travolgere questa università, attraversarla con i nostri desideri e le
nostre proposte, proposte che vogliamo costruire a partire dalla comprensione
della sua crisi e del suo rapporto con la società.
Una crisi esplosa da tempo ed aggravata da un quindicennio di pessime
“riforme” volte alla aziendalizzazione ed alla privatizzazione dell’università,
una crisi che i provvedimenti di questo governo stanno trasformando in
catastrofe.
Pensiamo al taglio del Fondo di Finanziamento Ordinario, al blocco del
turnover, ma soprattutto alla trasformazione degli atenei in fondazioni di
diritto privato ed alle sue conseguenze in termini di discriminazione di censo
nell'accesso a un'istruzione di qualità e di destrutturazione dell'intero sistema
universitario nazionale. Effetti che non potranno non aggravare le già critiche
condizioni della scuola di ogni ordine e grado.
Non dimentichiamo le responsabilità di chi ha gestito l’università con
meccanismi corporativi e clientelari, di chi soffoca la ricerca per mezzo di
un'opprimente gerarchizzazione, di chi ha costruito un sistema fondato sullo
sfruttamento generalizzato del lavoro precario, di chi ha oramai accettato
l'idea di un drastico restringimento dell’accesso a un’istruzione pubblica di
qualità.
Il nostro obiettivo è stanare e denunciare queste aberrazioni ovunque si
manifestano, conoscerle per scardinarle. Bisogna superare il cosiddetto 3+2,
il quale con i suoi effetti di frammentazione e di dequalificazione della
didattica mira alla produzione di lavoratori precari e ricercatori al servizio del
privato o dell'impresa di turno.
In due mesi di mobilitazioni abbiamo dimostrato di non avere alcuna
intenzione di lasciarci incantare dalle false aperture del ministro Gelmini o
chiuderci nel recinto di uno studentismo vuoto e arrogante. Abbiamo gridato
dalle piazze di tutta Italia la nostra consapevolezza che solo l'unione e la
generalizzazione delle proteste può rovesciare quei rapporti di forza che
schiacciano il mondo dell'istruzione e della ricerca tanto quanto quello del
lavoro. Solo il continuo coordinamento ed allargamento della protesta potrà
portare ad un reale cambiamento nelle politiche del governo e per questa
ragione aderiamo allo sciopero generale indetto per il 12 dicembre con la
promessa di farlo vivere nelle nostre metropoli ed in qualunque luogo
raggiunto dall'Onda.
Il nostro sciopero sarà dunque all'insegna della generalizzazione delle
mobilitazioni, della lotta contro la precarietà e per l'abolizione di tutte le
forme di lavoro parasubordinato contenute nella legge 30, contro ogni
discriminazione di genere, cultura e razza, contro la criminalità organizzata
che strangola il nostro Sud e sempre più anche il nostro Nord.
Autoriforma è il percorso concreto di elaborazione, d'inchiesta e di
conflittualità che mette in crisi il sistema attuale, che propone un modello
diverso di università attraverso una critica radicale dell'esistente. Vogliamo
costruire un'università pubblica, democratica ed accessibile a tutti.
Per questo sentiamo l'urgenza, in questa fase di crisi profonda del modello
sociale ed economico neoliberista, di un’università che sappia dare il suo
contributo alla costruzione di un nuovo e più equo modello di sviluppo.
Il nostro punto di partenza sarà l'analisi della ricerca concretamente prodotta
dalle università ed enti pubblici di ricerca, delle sue ricadute sul territorio, la
creazione di sapere critico e la moltiplicazione delle esperienze di
autoformazione e didattica alternativa cui abbiamo dato vita nelle nostre
mobilitazioni.

1) Ricerca
L'indipendenza e l'autonomia della ricerca sono per noi principi fondativi.
La ricerca non deve essere subordinata a logiche di mercato: le risorse e le
strutture pubbliche dalle quali essa dipende non possono essere messe al
servizio di interessi privati. Il sapere è un bene pubblico, una produzione
collettiva e per questa ragione non appropriabile: i suoi risultati devono essere
socializzati, ossia posti al servizio dell'intera società. Per questo riteniamo
essenziale lo sviluppo di forme non commerciali della loro tutela
(GPL/Creative commons) in contrapposizione al brevetto nonché il sostegno
all'editoria scientifica open source ed una stretta sinergia tra ricerca e
didattica.
Siamo però consapevoli che l'emergenza attuale ha tra le sue cause principali
il cronico sottofinanziamento delle attività di ricerca, che deve essere portato
almeno ai livelli indicati dal Trattato di Lisbona (3% del Pil contro l'attuale
1%). E poiché una ricerca libera non può esistere senza ricercatori autonomi e
indipendenti da ogni condizionamento, la democratizzazione dell'accesso ai
fondi e la sua apertura ai ricercatori non strutturati e ai dottorandi è per noi
condizione irrinunciabile.

2) Valutazione
L'autonomia della ricerca e la qualità dell'università pubblica non possono
essere disgiunte dalla realizzazione di un nuovo concetto di valutazione.
Tale concetto, più complesso della combinazione di indici presuntamente
quantitativi, non deve essere legato al contenimento del bilancio, alla
produzione di brevetti o al semplice numero delle pubblicazioni.
Pensiamo che la valutazione debba essere intesa anche come rendicontazione
sociale delle attività degli atenei e del sistema nel suo complesso, che non
possa prescindere dai contesti territoriali in cui le università sono inserite.
Contemporaneamente, ribadiamo che anche docenti, ricercatori e dottorandi
dovrebbero essere coinvolti nei processi di valutazione.
Gli esiti della valutazione della didattica e della ricerca dovrebbero
condizionare la distribuzione di parte dei finanziamenti sia alle strutture
(atenei, enti, istituti, dipartimenti,..) che ai singoli docenti e ricercatori.

3) Reddito, diritti, contratti
Il problema del reddito è sicuramente trasversale a tutto il corpo vivo
dell'università: studenti dottorandi e ricercatori precari.
Al lavoro di ricerca, perché di lavoro si tratta, devono corrispondere un salario
adeguato e i diritti stabiliti dallo statuto dei lavoratori. La moltitudine di
tirocini, stage e praticantati tutti rigorosamente non retribuiti non sono più
tollerabili, così come la dilagante attività didattica a titolo gratuito.
Ogni prestazione deve essere contrattualizzata al più come forma di lavoro
subordinato a tempo determinato e in tal caso deve essere garantita la
continuità del reddito, diritto fondamentale di cui chiediamo l'estensione a
tutti i lavoratori precari. Non solo: commossi dall'attenzione del ministro
Gelmini alle condizioni degli edifici scolastici, rivendichiamo ambienti idonei
di studio, lavoro e ricerca.

4) Pari opportunità
Nella ricerca rimane aperta la stessa questione di genere che troviamo
ovunque nel mondo del lavoro: da una parte la progressione di carriera delle
donne è fortemente filtrata ai livelli più bassi, dall'altra le donne subiscono il
perenne ricatto biologico, aggravato dalla precarietà, per cui la maternità
diventa in realtà la via di espulsione dal mondo della ricerca.

5) Dottorato e specializzazioni
Il dottorato di ricerca è il più alto grado dell'istruzione italiana e
contemporaneamente l'introduzione all'attività di ricerca. Vanno dunque
garantiti adeguati percorsi didattici e il diritto all'autonomia economica.
Questo significa in particolare l'immediata soppressione dei dottorati senza
borsa e delle tasse di iscrizione. I dottorandi dovrebbero vedere riconosciuti i
loro diritti per mezzo di uno statuto nazionale a loro dedicato.
Per quanto riguarda le specializzazioni è emersa la necessità di nuove
procedure concorsuali trasparenti. Le mansioni affidate agli specializzandi
non devono mai oltrepassare le competenze previste dalla legge.

6) Reclutamento
Per quanto riguarda la spinosa questione del reclutamento, ribadiamo la
nostra ferma opposizione al blocco del turnover. Ma questo non ci basta, dopo
anni di blocco dell'accesso ai giovani che ha esasperato la precarietà e
incentivato la fuga dei cervelli. Chiediamo l'istituzione di un contratto unico di
lavoro subordinato una volta terminato il dottorato, di durata non inferiore ai
due anni: esso deve sostituire l'attuale jungla di “contratti” precari.
Tali misure non avrebbero tuttavia alcun senso senza un consistente
reclutamento straordinario via concorso, che deve essere seguito da un
reclutamento ordinario via concorso costante nel tempo. Per quanto concerne
l'inquadramento della docenza, chiediamo l'istituzione di un ruolo unico e
l'incompatibilità della libera docenza con contratti di diritto privato.

7) Rappresentanza
I ricercatori precari, essenziali al funzionamento di tutti gli atenei ed enti
pubblici di ricerca italiani, sono completamente assenti dagli organi
decisionali degli stessi. E' questo un elemento chiave della gerarchizzazione
del lavoro di ricerca e didattica.
Come ogni altra categoria nell'università, i ricercatori precari e i dottorandi
devono partecipare ai processi decisionali tramite i loro rappresentanti eletti.

8) Europa e anomalous wave
L'Onda ha già valicato i confini nazionali. In tutta Europa si sono svolte
manifestazioni di solidarietà al movimento italiano. Questo fatto ci parla della
dimensione transnazionale dei problemi che stiamo affrontando. Il lavoro di
ricerca prevede la mobilità come elemento irrinunciabile ma continuamente
ostacolato dalle differenze dei diversi sistemi nazionali. Spesso le riforme,
sgradite a chi l'università la vive, sono state giustificate in nome di una
presunta volontà di integrazione a livello europeo. Vogliamo sottolineare che
uno spazio europeo della ricerca ancora non esiste e che il movimento deve
assumersi la responsabilità di cominciare a crearlo, non attraverso la
normazione astratta ma attraverso la circolazione delle idee e delle lotte.
L'osservazione dei diversi modelli di sistema universitario presenti al
momento in Europa ci permette di rigettare immediatamente alcune ipotesi di
sviluppo, come il modello anglosassone e il principio del debito di formazione,
già ampiamente entrato in crisi in Inghilterra e negli Stati Uniti. In
quest’ottica proponiamo la convocazione di una riunione europea che metta
in circolo le diverse vertenze sviluppate dai movimenti di studenti e
ricercatori precari.

9) Percorsi
Se l’autoriforma è anche e soprattutto un percorso condiviso di lotte, questo
workshop ha espresso una molteplicità di strade che possono essere percorse
a livello locale e nazionale:
- Se il precariato è il problema di questa generazione, ci sembra
fondamentale una grande inchiesta sul lavoro precario nell'università
arrivando ad un censimento nazionale che ci permetta di tradurre nella
forza dei numeri l'enormità del fenomeno.
- In questa ottica è necessario che il movimento esca dall’università per
coordinarsi anche con il resto del mondo del lavoro precario.
- Formulare un appello congiunto di studenti, dottorandi e precari per lo
sciopero generale/gli scioperi generali che verranno nel prossimo futuro.
- Fin dall’inizio è stato un obiettivo del movimento coordinarsi con la
protesta della scuola per reagire all’attacco generalizzato alla formazione
pubblica a tutti i livelli. Questo impegno deve essere assunto dal
movimento anche per il futuro.
- Proponiamo di portare avanti azioni locali contemporanee e condivise da
tutto il movimento anche nell’ambito della proposta di una grande giornata
nazionale della ricerca.
- Ci sembra importante anche l’idea di portare avanti un percorso di
vertenze locali comuni a studenti, dottorandi e ricercatori precari per
migliorare qui ed ora la nostra condizione di diritti e rappresentanza
chiedendo con forza almeno l'applicazione dei principi contenuti nella
Carta Europea dei Ricercatori” sottoscritta da tutti gli atenei ed enti
pubblici di ricerca italiani.
- In queste settimane hanno avuto un grande successo le iniziative di
divulgazione e di apertura dell’università alla cittadinanza. Ci riferiamo sia
agli eventi rivolti ai bambini delle scuole, alle famiglie, ai lavoratori sia alle
lezioni all’aperto e ai seminari in piazza. Il
movimento ha manifestato un’evidente volontà di proseguire su questa
strada continuando ad organizzare eventi che portino il sapere, la
ricerca e i ricercatori stessi al di fuori del mondo universitario.
- La valutazione del mondo universitario e della ricerca in genere è uno dei
punti cardine dell’autoriforma. Il movimento ritiene che non si debba
delegare ad altri se non a chi ne è direttamente interessato questo
complesso problema. A questo scopo si vuole
istituire un gruppo di studio specifico, formato da studenti ricercatori
precari e dottorandi, che analizzi il problema.
- Occorre sviluppare una critica seria ed approfondita di tutti gli strumenti di
governance universitari a partire dalla fondazione di diritto privato
denominata CRUI e dell'autoproclamato circolo dei migliori atenei d'Italia,
AQUIS.
- Ribadiamo l’importanza di organizzare una grande assemblea Europe che
metta in relazione diverse realtà di lotte e punti di vista critici
sull’università e la ricerca.

Una molteplicità di strade, ma molte di più, pensiamo, sono quelle che
usciranno dalla fantasia e dalla consapevolezza critica di questo movimento.
La forza della partecipazione che lo sta facendo vivere, la capacità che esso ha
mostrato in questi giorni di mobilitazione di sperimentare percorsi nuovi sono
sicuramente il motore per costruire un futuro diverso da quello che ci
vogliono, a forza, tracciare davanti. Un compito impegnativo per un
movimento che deve durare ma anche una grande occasione di rinnovamento
per questo paese, l’onda lunga di una grande speranza.

Secondo Workshop -Welfare e diritto allo studio

Il workshop di ieri è stato partecipato da circa un migliaio di persone, al pari degli
altri due. Si tratta, evidentemente, di un dato eccezionale dal punto di vista della
quantità, in piena continuità con l’assemblea nazionale nel suo complesso e con
queste straordinarie settimane di mobilitazione che stiamo vivendo. Ma c’è di più. Il
dato della discussione di ieri è eccezionale anche dal punto di vista qualitativo. I
quasi cento interventi da tutte le città che si sono susseguiti per più di sette ore di
intensa discussione segnano un deciso e importante passaggio in avanti
nell’elaborazione collettiva e nella costruzione di agenda politica su temi
assolutamente decisivi per il movimento.
Lo slogan che attraversa e che maggiormente caratterizza le mobilitazioni
universitarie, “Noi la crisi non la paghiamo”, definisce già con chiarezza la centralità
delle questioni del Welfare e del lavoro dentro la riflessione politica e i processi di
conflitto che si sono dati nelle mobilitazioni di queste settimane.
Sulla crisi finanziaria globale si registrano varie interpretazioni, talora contrastanti
anche negli stessi ambiti del pensiero critico e radicale. In questo workshop, com’è
stato più volte ribadito, il nostro obiettivo non era la definizione in termini di analisi
di genealogia e tendenze dell’attuale crisi: essendo questo un tema di straordinaria
importanza e attualità, preferiamo a tal fine proporre fin da subito la costruzione di
uno o più momenti seminariali. Il nostro punto di partenza è stato invece la
definizione del carattere politico e il terreno di lotta che attorno al tema della crisi si
apre, più precisamente sul problema della decisione della distribuzione della
ricchezza sociale in un contesto che dalla crisi è profondamente segnato.
Il presente movimento si muove all’interno di una doppia crisi: quella finanziaria e
quella dell’università. Quest’ultima in Italia assume caratteristiche peculiari,
determinate dallo storico disinvestimento nel sistema dell’istruzione e della ricerca, e
dalle strategie di smantellamento operate dai governi di centro-destra così come da quelli di centro-sinistra.
In questo quadro, come emerso dalla discussione, i processi di aziendalizzazione
dell’università e i tagli dei finanziamenti alla ricerca e alla formazione si
accompagnano all’aumento delle spese di guerra, ai fondi statali regalati alle imprese
private, al piano salva-banche. La retorica degli sprechi e del contenimento del debito
pubblico, abbondantemente utilizzata dal Governo nel tentativo di giustificare i tagli
mortali contenuti nella legge 133, rivela qui infatti la sua natura puramente ideologica.
Tutto ciò, soprattutto, permette di individuare nell’università un terreno di lotta di
particolare importanza, a partire da cui produrre dei processi di generalizzazione del
conflitto. La parola d’ordine “noi la crisi non la paghiamo” indica quindi non una
semplice istanza espressa da un particolare soggetto sociale, ma la sua capacità di
parlare il linguaggio dell’intera composizione del lavoro e del precariato
contemporaneo, proprio in virtù della centralità di studenti e saperi nelle forme attuali
della produzione. Quello della generalizzazione è uno dei punti particolarmente
sottolineati nel corso della discussione, come posta in palio delle possibilità di
sviluppo dello straordinario movimento che sta stravolgendo le compatibilità che si
credevano imposte dal governo Berlusconi. Non a caso, la Cgil è stata costretta a
indire lo sciopero generale sotto la spinta e la forza dell’onda.
Nel workshop si è prodotta una ricca discussione che ha permesso di fare un
importante passo in avanti, di analisi e di merito politico, nella riconfigurazione del
diritto allo studio e nelle battaglie attorno ad esso. L’attacco al diritto allo studio non
assume più solo i tratti classici dell’esclusione, ma dei nuovi processi di selezione e
inclusione differenziale direttamente interni al sistema universitario.
Laddove i diritti sociali non sono più garantiti dal welfare pubblico, l’indebitamento
rappresenta una costrizione per continuare a soddisfare bisogni collettivi, quali ad
esempio la formazione e l’accesso ai saperi. Nonostante l’irrisorio e propagandistico
stanziamento di fondi per le borse di studio, strettamente regolato dal sistema
meritocratico, il progetto complessivo di trasformazione dell’università va nella direzione di un aumento delle tasse d’iscrizione.
In questo contesto, se il diritto allo studio è certamente garantito dalla Costituzione,
esso è di fatto non solo disatteso nella pratica, bensì nel nuovo contesto produttivo
assume nuove caratteristiche. Infatti, un numero crescente di persone entra nel
sistema dell’istruzione superiore nella misura in cui sono costrette a indebitarsi e si
dequalificano i saperi a cui hanno accesso. I processi di lotta si spostano quindi sul
piano del mercato del lavoro (sempre più regolato e intrecciato alla produzione di
saperi e formazione), dei processi di gerarchizzazione e del welfare.
Di pari passo, il diritto allo studio si riconfigura come battaglia sulla qualità dei
servizi e riqualificazione e autogestione dei saperi. Allora, prendendo anche atto del
fallimento delle agenzie per il diritto allo studio, la lotta contro l’aumento delle tasse
e la liberalizzazione dell’accesso, si deve accompagnare a una battaglia sulla qualità
dei servizi, contro i numeri chiusi, per il non ripagamento dei prestiti d’onore (ovvero
il sistema italiano del debito, ancora non pienamente affermato ma in via di
tendenziale espansione). Una battaglia, quindi, contro qualsiasi tentativo di scaricare
su studenti e precari i costi della crisi finanziaria e dell’università. La crisi la paghino
invece le banche e le imprese, i governi e i baroni, oggi tutti alleati ben al di là delle
retoriche su sprechi e corruzione.
Se la sfida lanciata dal movimento ha nell’università un terreno privilegiato, deve al
contempo riuscire a generalizzare le proprie istanze per poter aprire un terreno di più
complessiva lotta sul welfare. Da questo punto di vista, è stato evidenziata
l’inesistenza in Italia di ammortizzatori sociali e strumenti di sostegno al reddito per
gli studenti e i precari. Occorre allora reclamare anche in Italia forme di erogazione,
dirette e indirette, di reddito per gli studenti e i precari che vadano nella direzione
dell’autonomia e dell’indipendenza e del rifiuto delle forme di precarizzazione.
La discussione ha elaborato delle proposte di agenda e campagna politica verso lo
sciopero generale e generalizzato del 12 dicembre e oltre.
  • Una settimana di iniziative in cui far vivere i temi di una nuova battaglia
    su case, mense, tasse e borse di studio, sull’accesso alla cultura (fatta di
    autoriduzioni in teatri, cinema, musei), sulla gratuità dei trasporti (dai
    treni ai bus), per la riappropriazione di appartamenti sfitti, per la libera
    circolazione dei saperi, contro i brevetti e i copyright.
  • Una giornata di mobilitazione nazionale dislocata nelle diverse realtà
    territoriali in cui dar vita a blocchi della città, azioni, occupazioni per
    praticare e generalizzare lo slogan “noi la crisi non la paghiamo”.
  • Uno sciopero del lavoro nero degli studenti universitari e dei ricercatori
    precari, reclamando reddito per le attività già erogate da studenti e
    ricercatori precari (stage, tirocini, il lavoro didattico, di ricerca e
    formativo non riconosciuto).
  • La costruzione di un percorso di inchiesta che, dal punto di vista del
    metodo, dovrebbe diventare pratica centrale nella costruzione dei
    percorsi di lotta e di produzione di conoscenza.


Come studenti e precari sono i produttori della ricchezza sociale, e di questa
ricchezza vogliamo riappropriarci.
Non vogliamo pagare la crisi finanziaria e dell’università, perché la crisi la paghino le
banche, le imprese, i governi, i baroni.
Non vogliamo pagare la crisi, perché noi siamo l’onda che li mette in crisi. Fluidi,
imprevedibili e irrappresentabili nel nostro movimento, e al contempo forti, potenti e
liberi come una mareggiata che li travolge. Perché il nostro tempo – il tempo
dell’autoriforma dell’università, della riappropriazione della ricchezza sociale e di un
nuovo welfare – è qui e comincia adesso.

Primo Workshop -Didattica

La complessità emersa nell’ambito di una discussione sull’autoriforma della didattica, ha messo
in luce la molteplicità di articolazioni possibili tramite le quali immaginare una ristrutturazione
dei processi didattici, cosi da poterli ripensare come non piu asserviti alla logica di
disciplinamento introdotta dall’università del 3+2. Al tempo stesso queste differenze e pluralitá
attestano tanto l’inevitabilità di contestualizzare queste riarticolazioni a contesti specifici,
quanto la necessità diffusa di ripensare una trasformazione radicale dei processi formativi.
Infatti, pur nelle differenze é emersa una chiara e totale opposizione al modello definito in
Italia dal 3+2. Dall’assemblea si é prodotto quindi un dibattito complesso, espressione
dell’esigenza dei differenti nodi di affrontare una discussione progettuale sull’autoriforma della
didattica che dovesse tenere conto dell’articolazione di un confronto assembleare dal quale
potessero risaltare la volontà di avviare un processo costituente e non di arrivare ad una
definizione finale ed univoca delle pratiche che nell’attraversamento quotidiano delle facoltá e
degli atenei giá aprono spazi di riappropriazione e decisione.

Da questo punto di vista sono emersi punti di convergenza vertenziali tra le differenti realtá.

1)Abolizione del sistema del 3+2 così come del sistema del credito. Da questo punto di vista si
è prodotto un dibattito non sintetizzabile sulle modalità attraverso cui raggiungere l’obiettivo.

2)Critica alla parcellizzazione degli esami e proposte di riaccorpamento per favorire un sapere
critico e complessivo

3)Rivendicazione di un’equa retribuzione del lavoro svolto in stages e tirocini: in ogni caso va
garantito il carattere facoltativo degli stessi.

4)Critica della meritocrazia e sua applicazione in Italia. Non devono esistere poli di eccellenza
contrapposti al resto delle universitá, a maggior ragione se autoproclamati come nel caso
dell’AQUIS. In secondo luogo si è svolta una critica ai parametri di valutazione schiacciati sulla
produttivitá, e nello stesso tempo si sono proposte nuove forme che privilegiassero la
valutazione dal basso e la qualitá.

5)Abolizione dei blocchi all’accesso e lungo il percorso di formazione superiore. I blocchi
devono essere eliminati sia come sistema di esclusione dal diritto allo studio, sia come filtri
progressivi di stratificazione sociale.

6)Abolizione della frequenza obbligatoria come strumento di controllo sui tempi di vita e di
studio.

7)Revisione dei piani di studio nella direzione di una conquista di una maggiore libertà dei
propri percorsi formativi.

8)Le università del sud Italia hanno posto ulteriori motivazioni alla necessità della natura
pubblica dell’università. La specificità dei loro territori pone l’accento su una massiccia
corruzione.

Il dibattito del workshop è stato attraversato da un’analisi comune: quello di concepire il
processo di autoriforma non come un disegno organico o un intervento legislativo, ma come il
recupero di spazi di decisione diretta da parte degli studenti. Questo ha significato critica alla
rappresentanza studentesca, ai processi di gerarchizzazione dell’amministrazione universitaria,
e necessità dell’organizzazione autonoma del conflitto: riappropriazione di spazi (biblioteche,
laboratori, aule autogestite, etc.) e di tempo, diffusione critica e autonoma del sapere.
Accanto a questo si è sviluppato un dibattito articolato e aperto sulla proposta
dell’autoformazione: questa è una tra le varie pratiche sperimentate per l’inflazionamento e il
sabotaggio del sistema del credito.
La discussione su modalità autogestite di didattica ha dato spunto per proporre e approfondire
la didattica partecipata, e che, in ogni caso, destrutturasse un rapporto gerarchico e verticale
nella trasmissione del sapere: così come ha posto molta attenzione alla formazione non come
accumulo indistinto di nozioni, ma come produzione di sapere critico.
Concludiamo ricordando l’indicazione di metodo rispetto al proseguimento delle lotte indicate
durante questi due giorni: la cooperazione nasce dal dibattito propositivo e non ideologico tra
le varie realtá che sperimentano in maniera autonoma conflitto dentro l’università.