Chi vuol muovere il mondo, muova prima se stesso. (Socrate)

mercoledì 21 ottobre 2009

RESPINTI: vite abbandonate a se stesse.

Cronache di un massacro “ill-legalizzato”


Roma –15 Ottobre 2009 – Si è svolta ieri, nell’ aula 8 dell’ex Caserma Sani, ora sede della facoltà di Studi Orientali della Sapienza, la conferenza-dibattito incentrata sulle tematiche immigrazione e xenofobia, seguita dalla proiezione del documentario denuncia dal titolo “Respinti”, trasmesso su Rai Tre dal programma “Presa Diretta” di Riccardo Iacona. Il viaggio della speranza: un’ interminabile traversata rinchiusi in container, impossibile non notare la macabra somiglianza con i vagoni-merci impiegati nelle deportazioni dei vicini anni ‘40, se non già caduti nella dimenticanza. Ricercati, vessati, torturati e, nel migliore dei casi, uccisi. E’ questo il massacro che si sta consumando per migliaia di persone oggi, sotto agli occhi di chi vuole leggere tra le righe di gloriosi accordi e provvedimenti legali tra i più biasimabili che un governo possa concepire in proposito. Ma l’uomo è uomo, e oltre la luce del proprio lanternino, si sa, non sa andare.

Il terrorismo mediatico degli ultimi anni ha compiuto stragi di entità pari a una guerra di frontiera, perché la morte fisica, nella maggior parte dei casi, è meno dolorosa della perdita di dignità. Giusto informare, giusto trovare un rimedio, giusto pensare alla stabilità. Che però le informazioni siano complete, i rimedi appropriati, la stabilità comune e diffusa. Tanti gli sforzi in questa direzione, ma sforzi spesso immaturi, di chi vede le conclusioni per poi ricercarne le cause. E allora era meglio non sforzarsi proprio. Si è deciso che bisognava bloccare l’immigrazione in territorio italiano di persone provenienti dai cosiddetti paesi in via di sviluppo, si è deciso che il lavoro non bastava e che loro ne erano la causa, che il canale di Sicilia era il centro della tratta e che andava chiuso. E allora abbiamo creato i CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione), dove, poi, alcuni neanche arrivano. Abbiamo varato il “Pacchetto Sicurezza”, approvato il reato di immigrazione clandestina, assistito con indifferenza ai patti e le strette di mano. E adesso ditemi: in che misura pensiamo che il 7% dell’immigrazione totale nel paese possa ledere alla capacità occupazionale degli italiani? E come può lo stesso 7% rendere “insicure” le strade di un intero paese? Andiamo avanti. “Perché tutti in Italia? Siamo gli unici che li lasciano entrare incondizionatamente e senza restrizioni”. Questa la tesi, ed eccone, poi, i presupposti: in mezzo c’è solo il mare, basta pagare qualcuno perché li porti attraverso il canale. E adesso guardiamo le statistiche, quelle reali: le destinazioni principali dei migranti dai PVS, circa l’80% del totale, sono proprio altri PVS. “La povertà, ricordiamolo, può essere anche un ostacolo alla mobilità – ci mostra, dati alla mano, Maria Cristina Paciello, docente di Geografia Economico-Politica dei Paesi in Via di Sviluppo - Le persone più povere sono anche le meno mobili (…). Non sono i più poveri ad emigrare verso destinazioni molto lontane dal proprio paese d’origine, ma le persone con un medio livello di istruzione e i mezzi necessari ad affrontare il viaggio”. Unica in lista, ai primi posti tra PVS, la Germania. Ma quale, il paese europeo? Quello che è stato la destinazione di tanti italiani nel secolo scorso? La stessa Germania in cui la Fondazione Friedrich Erbert ha sostenuto il programma di integrazione “con l’apprendimento della lingua tedesca, la garanzia di una buona istruzione e formazione, il miglioramento delle condizioni di vita e lo sviluppo di un sentimento di appartenenza”? Eh, già, proprio quella. Scopriamo allora che l’Italia non è poi il centro del mirino delle immigrazioni, che le cause di un’accettazione passiva della cattiva informazione vanno ricercate in stati d’animo di tipo diverso. Secondo uno studio delle psicologhe del dipartimento milanese Chiara Volpato e Federica Durante, il pregiudizio si palesa in diverse forme di reazione sociale, dall’invidia al paternalismo, dal disprezzo all’ammirazione. Fondamenti di tali sviluppi non sono altro che quantità, qualità e status dei lavori svolti da una certa etnia, piuttosto che un’altra. Ma chi ci fornisce questi dati? Chi o cosa ha il potere di creare i presupposti del pensare comune? I media.

Dati parziali, fonti incerte. Pare che oggi, in Italia, la gente compri un giornale, piuttosto che un altro, a seconda della versione dei fatti che vuole sentirsi raccontare. Il mezzo d’informazione che si modella sul pensar comune, il pensar comune che cerca rifugio nel mezzo d’informazione. Per non parlare delle espressioni variamente usate da esponenti politici italiani di un certo rilievo e non, “niente case ai bingo bongo” (Umberto Bossi, 2003), “padroni in casa nostra” (Silvio Berlusconi, 2008), “l'equazione immigrazione-criminalità esiste” (Marco Rondini, 2009), “Stupri, spaccio di droga, occupazioni abusive e contraffazione sono alcuni dei reati commessi ogni giorno dagli immigrati” (Riccardo De Corato, vicesindaco di Milano, 2009), e la lista andrebbe avanti. Imbarazzanti confidenze tra le pagine di diari segreti? Magari. Si tratta, ahimè, di fiere dichiarazioni, sorrette da dati privi di fonti, il suddetto rifugio del pensar comune. Per sfatare, poi, il mito del “cattivo”, il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, si è dichiarato contrario all’immigrazione clandestina, contrario, quindi, secondo i dati riportati in conferenza dalla prof. Paciello, al 15% delle immigrazioni totali in UE. Peccato che, in realtà, soltanto una piccolissima parte dei migranti regolari che mettono piede in Italia avrà la possibilità di incontrare un avvocato e un interprete che ne garantiscano i diritti d’asilo. Anzi, nonostante un individuo presenti già i requisiti necessari ad essere ammesso in qualità di rifugiato politico, non viene fatto nessun tentativo di verificarne la condizione, né analisi alcuna del suo singolo caso: prassi comune in Italia è il respingimento collettivo. Già, proprio quello vietato dalla Convenzione di Ginevra del 1951.

“Quel che spesso non viene detto – ci ricorda Daniela Pioppi, docente di Storia dell’Egitto Contemporaneo – è che noi abbiamo delle leggi sul diritto d’asilo, ma si evita di applicarle. (…) Oggi l’immigrazione è un dato di fatto, la nostra scelta è se la vogliamo legale o illegale, se vogliamo o no delle politiche di integrazione. Il governo attuale non pone la questione in questi termini, anzi, alimenta politiche quali la cosiddetta “complicità in rendition”, che autorizza l’espulsione e la tortura di ingegneri per sospettato coinvolgimento in terrorismo”. Quando, poi, accuse di incostituzionalità, di violazione dei diritti umani, di istigazione alle discriminazioni vengono rivolte all’ equo Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, la secca risposta è che “Il programma dei respingimenti è in linea con le normative europee ed i trattati internazionali”. Se ne dedurrebbe che, forse, il ministro Maroni quelle normative non le ha neanche lette, magari, chissà, vittima di un tragico inganno. Sia a livello europeo, che a livello internazionale, infatti, sembra essere variamente sottolineato il divieto di espulsione per i richiedenti rifugio i cui paesi di provenienza possano essere considerati luoghi insicuri e irrispettosi dei diritti umani fondamentali.¹ Ebbene, secondo il rapporto Amnesty 2009, i migranti che dalla Libia raggiungono l’Italia provengono per lo più da Eritrea, Somalia, Nigeria e Mali, tutti paesi a rischio. “Che richiedano il permesso d’asilo in Libia” è stata la risposta di Silvio Berlusconi. Ma è forse possibile che il presidente del consiglio, recentemente impegnato nell’approfondimento delle relazioni diplomatiche con il capo di stato libico Muhammar Gheddafi, non sia a conoscenza della quasi inesistenza di procedimenti di tal genere in Libia? Che forse non sappia delle torture nelle carceri libiche, gli anni di reclusione, gli stupri, i maltrattamenti? Direi che accusarlo di ignoranza o stupidità non gli renderebbe giustizia.

“Tahar Ben Jelloun – ricorda Italo De Bernardis, rappresentante di Amnesty International Italia, durante il suo intervento - nel romanzo Il Razzismo Spiegato a Mia Figlia scrive: “Le persone non nascono razziste, ma lo diventano a causa della cattiva educazione”. Quale ci si aspetta, dunque, che sia la reazione di un paese quotidianamente assoggettato a un tipo di informazione talmente fuorviante? Un paese la cui créme de la créme viola deliberatamente i diritti umani, facendosi passare per la “Robin Hood Gang” del ventunesimo secolo, guardiana della sicurezza del defraudato popolo italiano. Un paese che l’agosto scorso ha toccato un nuovo record di debito pubblico, che corre ai ripari in capannoni di latta e plastica, sperando che bastino a salvarlo dalle raffiche. Un paese che (diceva mio nonno, “Chi deve guadagnarsi il pane, non pensa a fare le rivoluzioni”), adesso, aiuta solo la storia a ripetersi.


¹ Convenzione di Ginevra, 1951; Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti disumani e degradanti; Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del Comitato per i Diritti Umani; Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali – cedu ecc.

Irene Burrescia

Nessun commento:

Posta un commento