altri due. Si tratta, evidentemente, di un dato eccezionale dal punto di vista della
quantità, in piena continuità con l’assemblea nazionale nel suo complesso e con
queste straordinarie settimane di mobilitazione che stiamo vivendo. Ma c’è di più. Il
dato della discussione di ieri è eccezionale anche dal punto di vista qualitativo. I
quasi cento interventi da tutte le città che si sono susseguiti per più di sette ore di
intensa discussione segnano un deciso e importante passaggio in avanti
nell’elaborazione collettiva e nella costruzione di agenda politica su temi
assolutamente decisivi per il movimento.
Lo slogan che attraversa e che maggiormente caratterizza le mobilitazioni
universitarie, “Noi la crisi non la paghiamo”, definisce già con chiarezza la centralità
delle questioni del Welfare e del lavoro dentro la riflessione politica e i processi di
conflitto che si sono dati nelle mobilitazioni di queste settimane.
Sulla crisi finanziaria globale si registrano varie interpretazioni, talora contrastanti
anche negli stessi ambiti del pensiero critico e radicale. In questo workshop, com’è
stato più volte ribadito, il nostro obiettivo non era la definizione in termini di analisi
di genealogia e tendenze dell’attuale crisi: essendo questo un tema di straordinaria
importanza e attualità, preferiamo a tal fine proporre fin da subito la costruzione di
uno o più momenti seminariali. Il nostro punto di partenza è stato invece la
definizione del carattere politico e il terreno di lotta che attorno al tema della crisi si
apre, più precisamente sul problema della decisione della distribuzione della
ricchezza sociale in un contesto che dalla crisi è profondamente segnato.
Il presente movimento si muove all’interno di una doppia crisi: quella finanziaria e
quella dell’università. Quest’ultima in Italia assume caratteristiche peculiari,
determinate dallo storico disinvestimento nel sistema dell’istruzione e della ricerca, e
dalle strategie di smantellamento operate dai governi di centro-destra così come da quelli di centro-sinistra.
In questo quadro, come emerso dalla discussione, i processi di aziendalizzazione
dell’università e i tagli dei finanziamenti alla ricerca e alla formazione si
accompagnano all’aumento delle spese di guerra, ai fondi statali regalati alle imprese
private, al piano salva-banche. La retorica degli sprechi e del contenimento del debito
pubblico, abbondantemente utilizzata dal Governo nel tentativo di giustificare i tagli
mortali contenuti nella legge 133, rivela qui infatti la sua natura puramente ideologica.
Tutto ciò, soprattutto, permette di individuare nell’università un terreno di lotta di
particolare importanza, a partire da cui produrre dei processi di generalizzazione del
conflitto. La parola d’ordine “noi la crisi non la paghiamo” indica quindi non una
semplice istanza espressa da un particolare soggetto sociale, ma la sua capacità di
parlare il linguaggio dell’intera composizione del lavoro e del precariato
contemporaneo, proprio in virtù della centralità di studenti e saperi nelle forme attuali
della produzione. Quello della generalizzazione è uno dei punti particolarmente
sottolineati nel corso della discussione, come posta in palio delle possibilità di
sviluppo dello straordinario movimento che sta stravolgendo le compatibilità che si
credevano imposte dal governo Berlusconi. Non a caso, la Cgil è stata costretta a
indire lo sciopero generale sotto la spinta e la forza dell’onda.
Nel workshop si è prodotta una ricca discussione che ha permesso di fare un
importante passo in avanti, di analisi e di merito politico, nella riconfigurazione del
diritto allo studio e nelle battaglie attorno ad esso. L’attacco al diritto allo studio non
assume più solo i tratti classici dell’esclusione, ma dei nuovi processi di selezione e
inclusione differenziale direttamente interni al sistema universitario.
Laddove i diritti sociali non sono più garantiti dal welfare pubblico, l’indebitamento
rappresenta una costrizione per continuare a soddisfare bisogni collettivi, quali ad
esempio la formazione e l’accesso ai saperi. Nonostante l’irrisorio e propagandistico
stanziamento di fondi per le borse di studio, strettamente regolato dal sistema
meritocratico, il progetto complessivo di trasformazione dell’università va nella direzione di un aumento delle tasse d’iscrizione.
In questo contesto, se il diritto allo studio è certamente garantito dalla Costituzione,
esso è di fatto non solo disatteso nella pratica, bensì nel nuovo contesto produttivo
assume nuove caratteristiche. Infatti, un numero crescente di persone entra nel
sistema dell’istruzione superiore nella misura in cui sono costrette a indebitarsi e si
dequalificano i saperi a cui hanno accesso. I processi di lotta si spostano quindi sul
piano del mercato del lavoro (sempre più regolato e intrecciato alla produzione di
saperi e formazione), dei processi di gerarchizzazione e del welfare.
Di pari passo, il diritto allo studio si riconfigura come battaglia sulla qualità dei
servizi e riqualificazione e autogestione dei saperi. Allora, prendendo anche atto del
fallimento delle agenzie per il diritto allo studio, la lotta contro l’aumento delle tasse
e la liberalizzazione dell’accesso, si deve accompagnare a una battaglia sulla qualità
dei servizi, contro i numeri chiusi, per il non ripagamento dei prestiti d’onore (ovvero
il sistema italiano del debito, ancora non pienamente affermato ma in via di
tendenziale espansione). Una battaglia, quindi, contro qualsiasi tentativo di scaricare
su studenti e precari i costi della crisi finanziaria e dell’università. La crisi la paghino
invece le banche e le imprese, i governi e i baroni, oggi tutti alleati ben al di là delle
retoriche su sprechi e corruzione.
Se la sfida lanciata dal movimento ha nell’università un terreno privilegiato, deve al
contempo riuscire a generalizzare le proprie istanze per poter aprire un terreno di più
complessiva lotta sul welfare. Da questo punto di vista, è stato evidenziata
l’inesistenza in Italia di ammortizzatori sociali e strumenti di sostegno al reddito per
gli studenti e i precari. Occorre allora reclamare anche in Italia forme di erogazione,
dirette e indirette, di reddito per gli studenti e i precari che vadano nella direzione
dell’autonomia e dell’indipendenza e del rifiuto delle forme di precarizzazione.
La discussione ha elaborato delle proposte di agenda e campagna politica verso lo
sciopero generale e generalizzato del 12 dicembre e oltre.
- Una settimana di iniziative in cui far vivere i temi di una nuova battaglia
su case, mense, tasse e borse di studio, sull’accesso alla cultura (fatta di
autoriduzioni in teatri, cinema, musei), sulla gratuità dei trasporti (dai
treni ai bus), per la riappropriazione di appartamenti sfitti, per la libera
circolazione dei saperi, contro i brevetti e i copyright. - Una giornata di mobilitazione nazionale dislocata nelle diverse realtà
territoriali in cui dar vita a blocchi della città, azioni, occupazioni per
praticare e generalizzare lo slogan “noi la crisi non la paghiamo”. - Uno sciopero del lavoro nero degli studenti universitari e dei ricercatori
precari, reclamando reddito per le attività già erogate da studenti e
ricercatori precari (stage, tirocini, il lavoro didattico, di ricerca e
formativo non riconosciuto). - La costruzione di un percorso di inchiesta che, dal punto di vista del
metodo, dovrebbe diventare pratica centrale nella costruzione dei
percorsi di lotta e di produzione di conoscenza.
Come studenti e precari sono i produttori della ricchezza sociale, e di questa
ricchezza vogliamo riappropriarci.
Non vogliamo pagare la crisi finanziaria e dell’università, perché la crisi la paghino le
banche, le imprese, i governi, i baroni.
Non vogliamo pagare la crisi, perché noi siamo l’onda che li mette in crisi. Fluidi,
imprevedibili e irrappresentabili nel nostro movimento, e al contempo forti, potenti e
liberi come una mareggiata che li travolge. Perché il nostro tempo – il tempo
dell’autoriforma dell’università, della riappropriazione della ricchezza sociale e di un
nuovo welfare – è qui e comincia adesso.
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