Se gli studenti tornano in piazza
In Spagna i giovani si mobilitano contro la riforma dell'università. Cos'hanno in comune con i ragazzi italiani, greci o francesi? Ritratto di un movimento che può incendiare l'intera Europa.
"Ce n'è voluto per farti venire qui stasera?". E' con queste parole che mi accoglie Pablo Pérez, uno studente di vent'anni con lo sguardo da bambino. Con altri trenta studenti, Pablo sta partecipando all'occupazione del rettorato dell'università di Siviglia. E' appena uscito da una riunione con i rappresentanti di tutte le facoltà. Nell'aula di storia è ora di cena. Alcuni mangiano, altri guardano Brian di Nazareth accalcati intorno ad un computer. Più tardi ci si dovrà mettere al lavoro: organizzare riunioni, preparare iniziative, striscioni, dibattiti con i professori.
Pablo e i suoi amici appartengono a quel gruppo di studenti che, con pochi mezzi e molta determinazione è riuscito a mobilitare migliaia di ragazzi contro il cosiddetto processo di Bologna. La protesta ha coinvolto cinque grandi università (due a Barcellona, la Complutense di Madrid, Valencia e Siviglia) e preoccupa le autorità universitarie e il governo. Ma com'è possibile che un progetto per la riforma dell'università europea sottoscritto a Bologna nel 1999 da 29 paesi per rendere più moderna e internazionale l'istruzione superiore, si sia trasformato nove anni dopo in un catalizzatore di proteste, manifestazioni e occupazioni?
Molti universiari ammettono di non conoscere bene il contenuto della riforma, ma la maggioranza ne ha una pessima opinione grazie alla mobilitazione di alcuni gruppi di studenti, che hanno coinvolto nelle proteste anche le scuole superiori e i licei. Margini per tornare indietro e bloccare la protesta non ce ne sono. E comunque gli amministratori degli atenei e i leader politici non sono stati capaci di dissipare i fantasmi della privatizzazione, della mercificazione del sapere e degli altri difetti di cui è accusato il processo di riforma nato a Bologna.
Gli univeristari temono che le aziende finiranno per interferire con l'insegnamento, che le lauree in lettere spariranno perchè non riusciranno ad ottenere finanziamenti privati e che diminuiranno le borse di studio. Un'altra preoccupazione diffusa è che i master -molto più costosi della laurea di primo livello- diventino uno strumento essenziale per trovare un lavoro decente.
Gli errori del governo
Nei campus universitari spagnoli è in corso una lotta impari tra i ragazzi, che comunicano attraverso l'email e i siti di social networking, e gli amministratori, ancora legati ai comunicati da appendere in bacheca. In questo campo, le istituzioni stanno subendo una clamorosa sconfitta. Ed è per questo che i rettori hanno chiesto aiuto al governo.
Ma chi sono gli studentoi che hanno messo in crisi le università? Secondo gli osservatori più critici si tratta di teppisti senza cervello. Per molti altri, invece, sono giovani anticonformisti che protestano senza sapere bene perchè. Borja Pérez, studente di geografia all'università di Siviglia, ha ottimi voti e si interessa al processo di Bologna da anni. Olga Arnaiz ha ventiquattro anni, già due lauree in tasca e due dottorati in vista. Figlia di un giornalista, fa parte del gruppo che coordina la mobilitazione alla Complutense di Madrid.
Per Laura Flores, diciannove anni, al secondo anno di diritto all'università di Siviglia, o per Inés Càmara, matricola belle arti alla Complutense, vivere intensamnte l'università significa anche battersi contro la riforma. "Alcuni si organizzano con le lezioni come meglio possono, altri per adesso hanno smesso di seguirle e si occupano delle proteste a tempo pieno", spiega Mario Souto, studente del terzo anno di fisica a Madrid.
Le attività legate alle proteste occupano gran parte del tempo degli studenti: bisogna organizzare gruppi, preparare i testi informativi, partecipare alle riunioni di coordinamento con le altre facoltà, organizzare i dibattiti e decidere quali azioni concrete realizzare. Lo zoccolo duro è composto da circa quaranta o cinquanta studenti per ogni facoltà, ma la partecipazione è molto più vasta: il movimento è eterogeneo e aperto, e per dire la propria basta essere presenti alle assemblee e alzare la mano.
Osservando la mobilitazione, si capisce che i luoghi comuni sulla scarsa voglia di studiare dei giovani che protestano non hanno nessun fondamento. I primi ad ammetterlo sono i docenti, spesso perplessi nel vedere i loro allivei che partecipano alle assemblee. A volte, raccontano, nei discorsi che si sentono negli atenei spagnoli c'è ancora l'eco del sessantotto, di cui i ragazzi parlano senza saperne molto.
I più coinvolti di solito sono gli studenti delle facoltà umanisitiche. "E' ovvio che sia così. La riforma minaccia soprattutto loro", spiega Javi Ruiz, dell'univeristà di Valencia, dicannove anni e iscritto al terzo anno di filosofia. Nel suo ateneo gli studenti hanno occupato sette facoltà: geografia e storia, filosofia scienze dell'educazione, filologia, psicologia, medicina ed educazione fisica. Virginia Ballestereos è tra i membri dell'assemblea che coordina le proteste. Ha vent'anni ed è al terzo anno di flosofia. "Durante l'estate" dice "abbiamo studiato la strategia usata nelle occupazioni organizzate a Madrid. Volevamo fare qualcosa perchè non eravamo d'accordo con il piano di studi".
Il racconto di alcuni professori di Virginia, che preferiscono rimanere anonimi, completa il quadro e aggiunge dettagli su com'è cominicata la mobilitazione: "E' successo tutto a filosofia. Sono riusciti a convocare più di mille studenti a un incontro con il rettore, Francsco Tomàs, che aveva accettato di dialogare con loro. Tre aule piene. Così è nato il movimento. La maggior parte dei ragazzi ha cominciato a sentir parlare del processo di Bologna solo allora".
Il passo successivo è stato presentarsi alle elezioni del senato universitario. Il movimento è riuscito a far eleggere alcuni rappresentanti, garantendosi così la possibilità di far sentire la sua voce al di là delle proteste e delle occupazioni. Gli studenti hanno fatto lo stesso alle elezioni di ogni consiglio di facoltà, seguiti poi dagli altri atenei (ndr, l'Onda Anomala della Sapienza è irrapresentabile e quindi ciò ha permesso la presenza nel senato accademico di componenti a noi ostacolanti come Azione Universitaria e Comunione&Liberazione; correggetemi se sbaglio!). Virginia spiega che i contatti avvengono via email, attraverso una pagina web e un forum online. Gli studenti chiedono maggiori investimenti per l'istruzione superiore e contestano le autorità che pretendono di mettere in moto la riforma di Bologna senza spendere nulla e con le università già piene di debiti. Sotto accusa ci sono il governo e le amministrazioni locali.
Le occupazioni sono i principali luoghi di incontro e di studio. Nelle assemblee aperte nascono gruppi di lavoro e commissioni, che si occupano della comunicazione, di trovare i fondi per finanziare le mobilitazioni, di studiare e di scrivere documenti e comunicati stampa. Tutto il lavoro fa capo ai gruppi di coordinamento che regolano i rapporti tra le assemblee.
Secondo Carlos Berzosa, il rettore della Complutense, gli studenti "hanno tutto il diritto di esprimersi, discutere e chiedere informazioni ma la mancanza. Ma la mancanza di rispetto per le persone o per i beni pubblici e l'interruzione del normale funzionamento dell'università sono inaccettabili". Nonostante queste parole, il suo atteggiamento, come quello di tutti i rettori, è conciliante: "Invitiamo gli studenti a partecipare all'elaborazione dei piani di studio. Contiamo su di loro per garantire una didattica di qualità".
Denunce e occpuazioni
All'Univeristat Autònoma di Barcellona, l'unico indizio da cui si intuisce che è in corso una protesta sono le scritte contro la riforma. Sono ovunque: per terra, sui muri, sulle scale. Anche se l'atmosfera è tranquilla e di assoluta normalità, è qui che si concentra la mobilitazione più forte contro il processo di Bologna. Il campus è come una piccola città. Costruito in mezzo alla campagna, ha un aspetto moderno, anche se ha già qualche decennio, e ospita circa quarantamila studenti. "Oggi ci sono dunque facoltà occupate: lettere, comunicazione, psicologia, scienze dell'educazione e scienze politiche, dove però la didattica è stata sospesa solo in parte", spiega Sergi Varavaca, uno degli studenti dell'assemblea di lettere.
In tutte queste facoltà a volte gli studenti impediscono lo svolgimento delle lezioni e non fanno entrare i docenti in aula. Ma l'atmosfera più tesa si respira a lettere, dove ci sono circa quattromila studneti divisi in otto corsi di laurea. Alcuni professori vivono la mobilitazione che va avanti da mesi, con grande tensione; altri affermano di capire le ragioni dei ragazzi. In questi giorni il principale argomento di dibattito all'Autònoma è la situazione dei ventisette studenti su cui pende una denucnica per alcuni disordini che risalgono alla fine di maggio. I ragazzi rischiano di essere espulsi per un periodo che può variare tra uno e unidici anni. [...]
Sulle occupazioni spesso le opinioni di studenti, professori e personale sono diverse. Alcuni considerano le manifestazioni delle ragazzate, mentre altri ritengono che sia arrivato il momento di prendere dei provvedimenti. Non è accettabile, afferma il rettore dell'Autònoma Lluìs Ferer, un modello di università "in cui si consenta a dei gruppi di studenti di interompere le lezioni. Bisogna scegliere da che parte stare e ci devono essere regole minime per impedire aggressioni alle cose o alle persone. Temo che alla fine queste proteste finiranno per danneggiare l'università pubblica e per avvantaggiare quella privata". Intanto, spiega Sergi Varavaca, i ragazzi stanno chiedendo il ritiro delle denunce.
L'altra richiesta avanzata dall'assemblea dell'Autònoma è la convinzocazione di un referendum vincolante in cui tutta la comunità univeristaria possa votare per decidere se bloccare il processo di Bologna. In realtà una consultazione pubblica è già in programma in tutti gli atenei catalani, ma non ha carattere vincolante. "Se la riforma dovesse passare comunque, vogliamo un aumento degli investimenti pubblici per la sua applicazione", speiga Sergi.
Molti studenti appoggiano queste richieste, ma molti altri chiedono che la vita accademica torni alla normalità. La maggior parte di quelli che sono contrari alla riforma ma non partecipano ale assemblee sembra, invece, avere le idee confuse. Alcuni hanno imori infondati: per esempio la scomparsa del corso di laurea in storia dell'arte e la sostituzione delle borse di studio con il sistema dei prestiti d'onore, da restituire una volta trovato lavoro.
Entrambe le novità sono state smentite ufficialmente dal governo e dalle autorità universitarie, ma gli studneti continuano a temere che il nuovo sistema metterà un'ipoteca sulla loro esistenza. Sono quste paure ad aver sinto molti ragazzi ad aderire al movimento: l'ingresso dei privati nel finanziamento degli atenei e la scomparsa delle facoltà meno redditizie sono le preoccuapazioni più diffuse nelle assemblee.
Informazione e democrazia
A circa quindici chilometri dal campus dell'Autònoma c'è la città. In pieno centro altri studenti hanno occupato il rettorato e tre facoltà dell'Universitat de Barcelona, ma le lezioni sono state interrotte. "Non sarebbe coerente, noi siamo per una migliore qualità dell'insegnamento", spiegano alcuni ragazzi. er risolvere il problema, continuano, bisogna dare informazioni corrette sul processo di Bologna e sulle sue vere conseguenze. Secondo loro, le colpe sono del governo e delle università, che ora sono chiamate a trovare soluzioni pratiche per i singoli problemi -dell'organizzazione delle borse di studio al prezzo dei master- e che dovranno evitare la mercificazione dell'insegnamento.
Tutti sono molto impegnati nella mobilitazione. A motivarli è soprattutto la voglia di democrazia: le istituzioni, accusano, li hanno scavalcati e non hanno chiesto il loro parere sulla riforma, che nessuno si è preso nemmeno la briga di spiegargli.
Gli studenti che oggi manifestano contro il processo di Bologna sono idealisti e hanno un'idea del bene pubblico che fa a pugni con la realtà. Inoltre hanno un forte senso di appartenenza all'università, dove passano la maggior parte delle loro giornate. "L'università non appartiene ai rettori nè ai ministri. L'università siamo noi studenti, i professori e il resto del personale", spiegano i ragazzi della Complutense di Madrid.
Così si torna al cuore della questione: gli studenti hanno l'impressione che nessuno abbia preso in considerazione le loro idee, scontano un grave deficit di partecipazione democratica e una precarietà lavorativa a cui si sentono inevitabilmente destinati, soprattutto i laureati nella materie umanistiche. Il futuro di questo movimento è difficile da prevedere. Molti docenti sono convinti che le occupazioni non potranno reggere a lungo, e un gran numero di studenti è contrario alle interruzioni della didattica. Il governo si è impegnato a dare risposte concrete alle domande dei ragazzi. Ma la macchina organizzativa del movimento non si ferma: ora gli studenti hanno creato un sito che raccoglie tutte le informazioni in arrivo dalle assemblee delle università mobilitate.
Anche se sanno di non essere la maggioranza, i partecipanti alle occupazioni assicurano che non interromperanno la loro lotta.
Susana Pérez de Pablo e J.A. Aunion, El Pais. Tratto da Internazionale n°775
mercoledì 24 dicembre 2008
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