Buona informazione!
ROMA- Si è tenuta ieri,2 Dicembre 2008, nell’Aula Magna della Facoltà di Studi Orientali (FSO) della “Sapienza”, la prima di un ciclo di conferenze a scadenza bisettimanale orientate al dibattito in merito alle recenti riforme governative. Il solito ginepraio di luoghi comuni e frasi fatte? No, anzi.
I tanto biasimati docenti e gli studenti hanno finalmente dato luogo a un confronto su una variante di temi di interesse comune, a partire proprio da quelle domande, a tratti persino “provocatorie”, che tanto hanno acceso gli animi nell’ultimo periodo.
Dopo una descrizione en passant delle riforme universitarie nell’ultimo decennio, seguita da un commento sui tagli della finanziaria, particolarmente mirati alla destrutturazione del sistema universitario piuttosto che a un reale controllo sulla sempre più istituzionalizzata evasione fiscale italiana, si è passati al dibattito vero e proprio: come funziona la valutazione della docenza? Che effetti avrà la riforma sulla Facoltà di Studi Orientali? Chi sono i baroni?
“E’un potere fondato sulla paura degli altri- risponde il prof. Arioli, ordinario di Lingua e Letteratura Araba nonché vicepreside di facoltà- (…)Fondare la FSO non è stata un’operazione facile, abbiamo incontrato una forte opposizione da parte dei docenti delle altre facoltà in formazione”.
Si tratta, in effetti, di una delle facoltà attivate nel marzo 2001 dal piano di decongestionamento adottato in seguito all’eccessivo aumento di iscrizioni registrato in quegli anni. Fondata da 19 membri di quello che era stato fino a quel momento il Dipartimento di Studi Orientali della facoltà di Lettere, è stata vivamente criticata proprio per l’esiguo numero di docenti che ne proponevano la creazione.
“Eravamo pochissimi- racconta la prof. Ciancaglini, professore associato di Glottologia e Linguistica- le altre facoltà, ad esempio quella di Lettere, si presentavano con duecento docenti in organico”.
Beh, il corso di laurea, a suo tempo,in osservazione e previsione del crescente numero di studenti (dai 1513 AA.1999-2000 ai 1571 AA 2000-2001 ai 2552 attuali- fonte:la Sapienza) è stato comunque attivato, seguito dalla pungente quanto sentita incitazione ai “colleghi affetti da elefantiasi da organico” a documentarsi sul numero di corsi di laurea che in Italia arrivavano (e tuttora persistono)a vantare un unico docente! Fermo restando che “un numero di per sé non è né piccolo né grande, e che questi due aggettivi hanno senso solo se messi in relazione con un’entità di riferimento(…)”.
Come debellare quindi l’eccessivo controllo che tale ristretto gruppo di “baroni” sembra esercitare sull’amministrazione universitaria? “Abbiamo un Ministero, perché non effettua delle verifiche a tappeto? - osserva il prof. Arioli – Deve essere un intervento chirurgico, non lo possiamo fare noi”.
Ma la questione della valutazione docenza e del sistema di reclutamento si presenta quanto mai travagliata. Diceva qualcuno, “quis custodiet ipsos custodes?” Chi controllerà i controllori? Chi deciderà, in definitiva, i parametri di valutazione dei valutatori?
Esistono vari sistemi di valutazione della docenza e della ricerca scientifica(accademica e non) basati notoriamente su criteri spesso poco condivisibili. Oggetto di discussione è stato il cosiddetto impact factor(“fattore d’impatto”), ovvero la frequenza con cui un dato articolo viene citato nel corso di un determinato periodo,frequenza che ne determinerebbe la “qualità”, sorvolando, certo, su tutti quei fattori che a livello di pubblicazioni definiscono la velocità di diffusione di un articolo a prescindere dal valore effettivo del suo contenuto.
Il recente decreto 180/2008, similmente, permette ai docenti di ottenere per intero lo scatto biennale di anzianità solo in base all’analisi del numero e del livello di scientificità delle pubblicazioni dei due anni precedenti (articolo 3-ter del decreto 180). “E’un sistema decisamente poco funzionale- afferma la prof. Ciancaglini - se si considera, ad esempio, che il tempo che intercorre tra la presentazione di un saggio e la sua effettiva pubblicazione varia dai sei mesi a un anno”. Si parla quindi di un raggio di valutazione parecchio limitato e limitante.
“Piuttosto - specifica la prof. Guazzone, professore associato di Storia Contemporanea dei Paesi Arabi - bisognerebbe rendere effettivi i sistemi di autovalutazione esistenti (ad esempio il PerCorso di Qualità della Sapienza) che sottopongono non solo la docenza ma l’efficacia stessa dei Corsi di di Studio a dei controlli con la collaborazione degli studenti; questo sistema deve e può raccordarsi a qualunque sistema di valutazione esterna, perché soltanto chi è interno al sistema può effettivamente essere in grado di giudicare il sistema stesso”.
D’altronde, il MIUR (Ministero Italiano dell’Università e della Ricerca)ha variamente dimostrato di non curarsi del parere effettivo di una classe di esperti nella redazione dei decreti. “Nonostante nessuno vi abbia fatto accenno – afferma la prof. Ciancaglini - ci tengo a precisare che un gruppo di esperti delle società linguistiche italiane ha redatto un documento che spiega, punto per punto, tutti i motivi per cui l’introduzione nel sistema delle classi ponte si pone come linguisticamente e socialmente fallimentare, documento che non è stato minimamente preso in considerazione”.
Invece, nel sistema universitario, è fondamentale richiedere una partecipazione di tutte le sue componenti delle quali gli studenti sono parte integrante. A suo tempo, ricorda la prof. Ciancaglini, è stato fondato il NAV (Nucleo d’Ateneo di Valutazione), che si poneva tra i vari obiettivi anche una valutazione della docenza secondo parametri oggettivi, quali la presenza, la costanza ecc., parametri ricavabili tramite questionari sottoposti direttamente agli studenti al termine di ogni corso. Ma, chiediamo alla prof. Ciancaglini, che valore effettivo hanno i suddetti questionari in fin dei conti? “Ancora non molto, ma man mano stanno acquisendo un certo valore, e a tal proposito invito tutti gli studenti che vogliano fare delle aggiunte o modifiche a rendermelo noto”.
Il rinnovato interesse da parte degli studenti per lo sviluppo e la crescita dell’università ha stimolato una reazione particolarmente positiva dei professori, ultimamente sempre più bollati come baroni e sempre meno come “guide”. “Quel che serve adesso – interviene il prof. Salviati, ricercatore di Storia dell’Arte dell’Estremo Oriente – è una presa di coscienza individuale: ognuno di noi è un tassello fondamentale nella società in cui vive, e non deve seguire nessun altro che se stesso in quanto parte di una democrazia che non va vista come momento di opposizione tra caste ma di confronto costruttivo”.
Quel che molti chiamano “baronato”, precisa il prof. Salviati, è una prerogativa della società umana in quanto tale sin dalla sua formazione. “Non siamo più evoluti di quando siamo scesi dagli alberi - ha affermato rifacendosi alla recente dichiarazione di Rita Levi Montalcini - e da sempre esistono gruppi di potere che si incentrano intorno a una figura di riferimento”.
Solleviamo quindi la domanda: il professor Masini, preside della facoltà di Studi Orientali, è un barone? Risponde Salviati, “Partendo dal presupposto che barone è un termine dispregiativo, il potere è in ogni caso uno strumento; se usato in modo intelligente, il risultato è quello ottenuto dalla FSO, ovvero una buona gestione derivata dalla cooperazione che non vede in alcun modo un “baronato”, risultante dalla paura. La FSO presenta su 2500 iscritti un corpo docente pari al 48% della pianta organica e interamente selezionato per eccellenza e con solida carriera accademica alle spalle. Continueremo a richiedere un reclutamento, poiché un basso numero di docenza penalizza in primo luogo gli studenti. E alla domanda se il prof. Masini è un barone rispondo: se Masini è un barone, ben vengano i baroni così, perché il potere è bene se è ben gestito. E viva il potere!”.
Conclusasi questa prima conferenza, gli studenti della Facoltà di Studi Orientali che in questi mesi si sono fatti promotori della diffusione di informazione all’interno della facoltà, hanno invitato i presenti alla partecipazione attiva ai gruppi di studio in corso, lanciando in ultimo la data del prossimo appuntamento per il 16 dicembre.
Irene Burrescia
I tanto biasimati docenti e gli studenti hanno finalmente dato luogo a un confronto su una variante di temi di interesse comune, a partire proprio da quelle domande, a tratti persino “provocatorie”, che tanto hanno acceso gli animi nell’ultimo periodo.
Dopo una descrizione en passant delle riforme universitarie nell’ultimo decennio, seguita da un commento sui tagli della finanziaria, particolarmente mirati alla destrutturazione del sistema universitario piuttosto che a un reale controllo sulla sempre più istituzionalizzata evasione fiscale italiana, si è passati al dibattito vero e proprio: come funziona la valutazione della docenza? Che effetti avrà la riforma sulla Facoltà di Studi Orientali? Chi sono i baroni?
“E’un potere fondato sulla paura degli altri- risponde il prof. Arioli, ordinario di Lingua e Letteratura Araba nonché vicepreside di facoltà- (…)Fondare la FSO non è stata un’operazione facile, abbiamo incontrato una forte opposizione da parte dei docenti delle altre facoltà in formazione”.
Si tratta, in effetti, di una delle facoltà attivate nel marzo 2001 dal piano di decongestionamento adottato in seguito all’eccessivo aumento di iscrizioni registrato in quegli anni. Fondata da 19 membri di quello che era stato fino a quel momento il Dipartimento di Studi Orientali della facoltà di Lettere, è stata vivamente criticata proprio per l’esiguo numero di docenti che ne proponevano la creazione.
“Eravamo pochissimi- racconta la prof. Ciancaglini, professore associato di Glottologia e Linguistica- le altre facoltà, ad esempio quella di Lettere, si presentavano con duecento docenti in organico”.
Beh, il corso di laurea, a suo tempo,in osservazione e previsione del crescente numero di studenti (dai 1513 AA.1999-2000 ai 1571 AA 2000-2001 ai 2552 attuali- fonte:la Sapienza) è stato comunque attivato, seguito dalla pungente quanto sentita incitazione ai “colleghi affetti da elefantiasi da organico” a documentarsi sul numero di corsi di laurea che in Italia arrivavano (e tuttora persistono)a vantare un unico docente! Fermo restando che “un numero di per sé non è né piccolo né grande, e che questi due aggettivi hanno senso solo se messi in relazione con un’entità di riferimento(…)”.
Come debellare quindi l’eccessivo controllo che tale ristretto gruppo di “baroni” sembra esercitare sull’amministrazione universitaria? “Abbiamo un Ministero, perché non effettua delle verifiche a tappeto? - osserva il prof. Arioli – Deve essere un intervento chirurgico, non lo possiamo fare noi”.
Ma la questione della valutazione docenza e del sistema di reclutamento si presenta quanto mai travagliata. Diceva qualcuno, “quis custodiet ipsos custodes?” Chi controllerà i controllori? Chi deciderà, in definitiva, i parametri di valutazione dei valutatori?
Esistono vari sistemi di valutazione della docenza e della ricerca scientifica(accademica e non) basati notoriamente su criteri spesso poco condivisibili. Oggetto di discussione è stato il cosiddetto impact factor(“fattore d’impatto”), ovvero la frequenza con cui un dato articolo viene citato nel corso di un determinato periodo,frequenza che ne determinerebbe la “qualità”, sorvolando, certo, su tutti quei fattori che a livello di pubblicazioni definiscono la velocità di diffusione di un articolo a prescindere dal valore effettivo del suo contenuto.
Il recente decreto 180/2008, similmente, permette ai docenti di ottenere per intero lo scatto biennale di anzianità solo in base all’analisi del numero e del livello di scientificità delle pubblicazioni dei due anni precedenti (articolo 3-ter del decreto 180). “E’un sistema decisamente poco funzionale- afferma la prof. Ciancaglini - se si considera, ad esempio, che il tempo che intercorre tra la presentazione di un saggio e la sua effettiva pubblicazione varia dai sei mesi a un anno”. Si parla quindi di un raggio di valutazione parecchio limitato e limitante.
“Piuttosto - specifica la prof. Guazzone, professore associato di Storia Contemporanea dei Paesi Arabi - bisognerebbe rendere effettivi i sistemi di autovalutazione esistenti (ad esempio il PerCorso di Qualità della Sapienza) che sottopongono non solo la docenza ma l’efficacia stessa dei Corsi di di Studio a dei controlli con la collaborazione degli studenti; questo sistema deve e può raccordarsi a qualunque sistema di valutazione esterna, perché soltanto chi è interno al sistema può effettivamente essere in grado di giudicare il sistema stesso”.
D’altronde, il MIUR (Ministero Italiano dell’Università e della Ricerca)ha variamente dimostrato di non curarsi del parere effettivo di una classe di esperti nella redazione dei decreti. “Nonostante nessuno vi abbia fatto accenno – afferma la prof. Ciancaglini - ci tengo a precisare che un gruppo di esperti delle società linguistiche italiane ha redatto un documento che spiega, punto per punto, tutti i motivi per cui l’introduzione nel sistema delle classi ponte si pone come linguisticamente e socialmente fallimentare, documento che non è stato minimamente preso in considerazione”.
Invece, nel sistema universitario, è fondamentale richiedere una partecipazione di tutte le sue componenti delle quali gli studenti sono parte integrante. A suo tempo, ricorda la prof. Ciancaglini, è stato fondato il NAV (Nucleo d’Ateneo di Valutazione), che si poneva tra i vari obiettivi anche una valutazione della docenza secondo parametri oggettivi, quali la presenza, la costanza ecc., parametri ricavabili tramite questionari sottoposti direttamente agli studenti al termine di ogni corso. Ma, chiediamo alla prof. Ciancaglini, che valore effettivo hanno i suddetti questionari in fin dei conti? “Ancora non molto, ma man mano stanno acquisendo un certo valore, e a tal proposito invito tutti gli studenti che vogliano fare delle aggiunte o modifiche a rendermelo noto”.
Il rinnovato interesse da parte degli studenti per lo sviluppo e la crescita dell’università ha stimolato una reazione particolarmente positiva dei professori, ultimamente sempre più bollati come baroni e sempre meno come “guide”. “Quel che serve adesso – interviene il prof. Salviati, ricercatore di Storia dell’Arte dell’Estremo Oriente – è una presa di coscienza individuale: ognuno di noi è un tassello fondamentale nella società in cui vive, e non deve seguire nessun altro che se stesso in quanto parte di una democrazia che non va vista come momento di opposizione tra caste ma di confronto costruttivo”.
Quel che molti chiamano “baronato”, precisa il prof. Salviati, è una prerogativa della società umana in quanto tale sin dalla sua formazione. “Non siamo più evoluti di quando siamo scesi dagli alberi - ha affermato rifacendosi alla recente dichiarazione di Rita Levi Montalcini - e da sempre esistono gruppi di potere che si incentrano intorno a una figura di riferimento”.
Solleviamo quindi la domanda: il professor Masini, preside della facoltà di Studi Orientali, è un barone? Risponde Salviati, “Partendo dal presupposto che barone è un termine dispregiativo, il potere è in ogni caso uno strumento; se usato in modo intelligente, il risultato è quello ottenuto dalla FSO, ovvero una buona gestione derivata dalla cooperazione che non vede in alcun modo un “baronato”, risultante dalla paura. La FSO presenta su 2500 iscritti un corpo docente pari al 48% della pianta organica e interamente selezionato per eccellenza e con solida carriera accademica alle spalle. Continueremo a richiedere un reclutamento, poiché un basso numero di docenza penalizza in primo luogo gli studenti. E alla domanda se il prof. Masini è un barone rispondo: se Masini è un barone, ben vengano i baroni così, perché il potere è bene se è ben gestito. E viva il potere!”.
Conclusasi questa prima conferenza, gli studenti della Facoltà di Studi Orientali che in questi mesi si sono fatti promotori della diffusione di informazione all’interno della facoltà, hanno invitato i presenti alla partecipazione attiva ai gruppi di studio in corso, lanciando in ultimo la data del prossimo appuntamento per il 16 dicembre.
Irene Burrescia
ARIOLI- Il professor Arioli, docente di Lingua e traduzione araba nonché uno dei capisaldi della Facoltà di Studi Orientali è intervenuto pronunciandosi brevemente sul reclutamento dei professori e sulla differenza tra facoltà e facoltà, alcune delle quali (come quelle dell’ambito medico) sarebbero in qualche modo più legittimate ad avere fondi per la ricerca dovendosi occupare di problemi più emergenti in quanto primari nella vita umana (in particolare in riferimento alla salute). È poi passato a parlare dei così conosciuti come “baroni”. Di baroni, dice il professore, ce ne sono di tanti tipi (e non sono solo docenti ma anche ricercatori e così via) e fondano il loro potere sulla paura degli altri. Durante la sua lunga vita accademica il professor Arioli ne ha incontrati alcuni. Prima della nascita della Facoltà di Studi Orientali, sorta dalla divisione di alcune facoltà e grazie alla richiesta sempre più crescente degli studenti ad uno studio più accessibile verso queste lingue orientali (per avere più occasioni di lavoro), il professor Arioli insieme ad altri colleghi parlavano di alcuni fondi (che si dividono in fondi di ricerca e fondi di docenza), in particolare quelli per la docenza (che servono a reclutare i professori nelle università), e si chiedevano se non era il caso di ridiscutere di dove mandare questi fondi. Infine il professore e i suoi colleghi si opposero al baronaggio e con la divisione da Lettere nasce la Facoltà di Studi Orientali. Nella sezione “Archivio minimo” del sito di facoltà, di cui il professor Arioli è il webmaster, è presente una pagina di qualche anno fa riguardante la destinazione dei fondi di docenza. Alla lettura di un documento commissionato alcuni docenti di Studi Orientali andarono via perché l’idea che si erano messi in testa il professor Arioli ed alcuni colleghi di contrastare il potere di certi baroni aveva scatenato in loro una reazione di paura.
Ogni riforma che riguarda i docenti in realtà è un sotterfugio e un modo per tagliare le gambe a personaggi competenti. Un modo è di promuover il sorteggio, l’altro è di togliere concorsi.
Non ci sono parametri oggettivi per reclutare i docenti. Il Ministero della Pubblica Istruzione dovrebbe andare di ateneo in ateneo per verificare la presenza effettiva o meno di certi “rami secchi” e confermare i dati sconcertanti sugli sprechi. È importante un intervento preciso e dettagliato da parte del Ministero.
È anche importante non confondere la ricerca con la didattica che si sta danneggiando attraverso il reclutamento di un professore in sostituzione di cinque ex professori in via di pensionamento: in questo modo in pochi anni le statistiche diventeranno allarmanti. Le riforme dovrebbero essere mirate e non inutili. La riforma della Moratti, paradossalmente, per alcune cose è stata provvidenziale perché prima di questa riforma alla specialistica non c’era molta scelta di materie. Le riforme non puntano ad un investimento pubblico sulla ricerca diversamente all’Unione Europea mentre ci sarebbero cose da tagliare davvero. Altre forme di spreco contrarie all’università vengono effettuate con scelte poco trasparenti.
CIANCAGLINI- Professoressa di Glottologia, si è espressa in modo particolare sulla valutazione della docenza la quale non è vero che non è controllata. Ci sono tre criteri per valutare la docenza:
1) in base all’attività scientifica
2) in base all’attività didattica
3) in base all’attività organizzativa/amministrativa
fra cui la prima è quella più complessa.
Quando si vince un concorso si deve essere valutati per 3 anni in base all’attività didattica e a quella scientifica. Se non si passa questa valutazione, nel caso di un associato, si ha ancora un anno di tempo per migliorare la situazione e se la valutazione finale è ancora negativa si retrocede di grado o si perde la qualifica. Se si supera questa valutazione ogni 2 anni si deve presentare una relazione scientifica e didattica. Sul sito della CINECA sono presenti i dati dei professori per quanto riguarda le pubblicazioni scientifiche. L’attività scientifica non è mai del tutto oggettiva ma ci sono dei criteri obiettivi: la CIVR valuta i prodotti di questo sistema.
Alcuni parametri obiettivi, per esempio, sono:
- la pubblicazione in inglese ha più valore di una pubblicazione in italiano,
- le riviste inglesi valgono di più perché hanno un comitato che approva o meno quell’articolo,
- l’importanza si assume in base all’accumulo di citazioni (che però è poco attendibile perché le citazioni possono essere fatte da colleghi vicini con i quali si scambia il favore della citazione o perché queste citazioni possono essere fatte a prescindere dall’importanza o meno dell’argomento in questione- si può essere citati molto di più per aver detto un’assurdità piuttosto che per aver affrontato un argomento davvero interessante).
Con il decreto 180, lo scatto biennale dello stipendio verrà fatto se nel biennio precedente il docente ha pubblicato dei resoconti sul lavoro fatto (ma i criteri di valutazione saranno pubblicati dal Governo solo dopo 2 mesi dall’uscita della 180 del 10 novembre).
Ad ogni modo la valutazione dei docenti è molto più capillare rispetto a prima.
Il problema di fondo delle riforme sull’Università è che l’Università è vista con ostilità perché è ancora “una sacca di resistenza pensante”. Nel caso di questa legge, attraverso le storie sui baroni, si è puntato molto sul contrasto fra docenti e studenti.
Mentre in Francia (come in altri paesi europei) si è investito sull’Università per superare la crisi, qui in Italia tutti i decreti puntano a tagliare fondi. E questi tagli sono effettuati da persone in qualificate a svolgere questi compiti. Per non parlare di alcuni punti dei decreti che sono davvero maschere di razzismo e quant’altro (vedi classi ponte, le classi per bambini stranieri che vengono isolati dal resto dei bambini italiani).
E non si prende affatto in considerazione l’opinione di esperti come non si è parlato del documento ufficiale stilato da esperti di Glottodidattica contro le classi ponte, documento che esprime un durissimo dissenso verso certe disposizioni.
Una ragazza è poi intervenuta ribadendo la mancanza di persone (al Governo) preparate sull’Università (magari provenienti dall’ambiente universitario) all’interno della classe dirigente che promuove queste riforme. Ha poi affermato che la Facoltà di Studi Orientali non è rappresentata dal Ministero il quale obbliga certe materie (si parla in particolare delle lingue) ad essere insegnate in un certo tot di ore.
La professoressa Ciancaglini ha menzionato la lettera che il professor Torella ha mandato a Santoro, conduttore del programma “Anno Zero”, riguardo all’inopportuno risolino del politico Barbareschi su materie da lui reputate poco utili. In generale la professoressa ha espresso il suo rammarico verso l’ignoranza inopportuna di certi politici che continuano a sostenere di poter essere in grado di sapere in prima persona quali ricerche e quali studi debbano andare avanti rispetto ad altri offendendo l’intero corpo docenti, ricercatori (…) che sono davvero gli unici competenti del campo.
Il rappresentante degli studenti Pacini ha osservato che potrebbe almeno esserci dei criteri minimi di controllo sulla metodologia d’insegnamento e sulla competenza di un docente.
La Ciancaglini ha continuato dicendo che esiste il NAV che si occupa di fare dei questionari di valutazione e che è possibile anche da parte degli studenti (che nel caso degli studenti di S.O. devono riferirsi alle professoresse Ciancaglini e Rossi) partecipare suggerendo (entro giugno) domande da far inserire nel questionario per la valutazione.
La professoressa ha poi fatto una differenza fra i baroni che danneggiano poco e quelli che danneggiano seriamente il sistema universitario. Ha continuato dicendo che la storia dei baroni è uscita fuori solo perché il Governo sia legittimato a tagliare fondi “contro i baroni” (il tutto, casualmente, in concomitanza con la crisi Alitalia). Il problema di fondo è nella mentalità e la valutazione è necessaria per contrastare la rovina.
GUAZZONE- La professoressa Guazzone ha fatto il punto della situazione dicendo che fino a quel punto era emerso fuori come il problema universitario si inserisca in un contesto più ampio che va dalla politica all’economia del paese. Ha poi spiegato che esistono criteri di valutazione anche per quanto riguarda l’efficienza dei corsi di laurea mentre non ne esiste uno per la gestione per la quale non si viene pagati. È emerso che le ore di docenza non sono definite e che il tempo dedicato alla gestione e quello dedicato alla ricerca è lasciato alla buona volontà del docente e vi grava sopra senza alcun criterio di valutazione. Bisogna valorizzare questo lavoro che sta dietro ai docenti anche rendendo consapevoli gli studenti (ma non solo gli studenti). La valutazione è divisa in:
1) valutazione degli atenei
2) valutazione dei percorsi degli enti di valutazione sulle commissioni
SALVIATI- Ha affermato che la situazione di S.O. è migliore rispetto ad altre facoltà e che abbiamo prospettive privilegiate rispetto ad altri. Rifacendosi al discorso del professor Arioli sul baronaggio, ha detto che quello peggiore è quello politico. Basta guardare la possibilità limitata di entrare a far parte dello staff di Veltroni o dei sindacati (e così via), entrata che, eventualmente, non avviene grazie al merito e alla preparazione del singolo. Riferendosi al discorso pronunciato dalla Montalcini qualche giorno prima e riproponendone le parole afferma che l’uomo odierno è essenzialmente come quello primitivo perché pensa ancora alla sopravvivenza del proprio clan (politico, lavorativo..) mentre basterebbero piccoli gesti del governo (e non solo nell’ambito dell’istruzione) per migliorare la situazione nel mondo (in riferimento alla povertà in Africa che si potrebbe eliminare attraverso operazioni sul PIL dei paesi europei). Il fatto è che chi ci governa non ha la volontà per migliorare le cose e quello che passa sotto gli occhi di tutti è che “più si è malfattori più vivi meglio”. L’importante è che ognuno diventi cosciente individualmente perché ognuno di noi è un tassello importante per la società. L’importanza di questo dibattito riguarda soprattutto la democrazia non demagogica. Il confronto serve a migliorare le cose e l’assemblea prende importanza anche solo come scambio di idee. Per quanto riguarda il lavoro, il professore ricorda che nonostante avesse ricevuto alcune offerte di lavoro all’estero, ha voluto continuare la sua carriera in Italia perché voleva continuare a servire questo paese e che, bene o male, tutti i laureati riescono a trovare lavoro.
Conta molto la gestione del potere e cosa fai nella società ma anche quali strumenti vengono dati. Se il potere è usato in modo intelligente il risultato è come la Facoltà di Studi Orientali, risultato di una serie di combinazioni che includono figure come Masini o studenti come i presenti che si mobilitano. Riprendendo il discorso del professor Arioli sulla paura verso i baroni afferma che a Studi Orientali sono tutti approdati per qualità la quale se manca danneggia soprattutto gli studenti ma non solo. Infine, conclude rispondendo al rappresentante degli studenti Pacini (che ha scherzosamente espresso il desiderio di sapere se Masini fosse o no uno di quei baroni) dicendo che se Masini è uno di quei baroni “ben vengano i baroni così, e allora: viva il potere”.
Silvia
Nessun commento:
Posta un commento