Chi vuol muovere il mondo, muova prima se stesso. (Socrate)

sabato 27 dicembre 2008

Ciao a tutti Orientalisti Sollevanti e Non!

Il blog resta in vita anche durante queste vacanze natalizie.

Ho pubblicato di seguito due articoli riguardanti le proteste aldilà dei confini italiani. Il primo (in ordine di pubblicazione) proveniente da El Pais tratto dal settimanale Internazionale, purtroppo non ho trovato il giorno di pubblicazione dell'articolo sul quotidiano spagnolo; il secondo è una lettera dei militari greci coinvolti nella soppressione delle proteste studentesche divampate nella penisola ellenica.

Infine ho postato un video o come l'ha chiamato l'autrice Marta "una sorpresina" per tutti noi che da tre mesi a questa parte siamo in mobilitazione.

Dunque ragazzi, buon proseguimento di vacanze e Auguri!!!

Lettera di militari greci che si rifiutano di reprimere la lotta di Studenti e Lavoratori

Centinaia di soldati dei 42 campi dell’esercito dichiarano: ci rifiutiamo di diventare una forza di terrore e repressioneSiamo dei soldati da ogni parte della Grecia [è necessario qui osservare che in Grecia è ancora in vigore la coscrizione e che riguarda tutti i greci maschi; la maggior parte o forse anche tutte le persone che firmano questo sono legati al popolo che al momento stanno servendo nel servizio militare obbligatorio - non reclute dell’esercito] . Soldati ai quali, a Hania, è stato ordinato di opporsi a studenti universitari, lavoratori e combattenti del movimento antimilitarista portando le nostre armi e poco tempo fa. [Soldati] che portano il peso delle riforme e della "preparazione" dell’esercito greco. [Soldati che] vivono tutti i giorni attraverso l’oppressione ideologica del militarismo, del nazionalismo dello sfruttamento non retribuito e della sottomissione ai "[nostri] superiori". Nei campi dell’esercito [nei quali serviamo], sentiamo di un altro "incidente isolato": la morte, provocata dall’arma di un poliziotto, di un quindicenne di nome Alexis. Sentiamo di lui negli slogan portati sopra le mura esterne del campo come un tuono lontano. Non sono stati chiamati incidenti anche la morte di tre nostri colleghi in agosto? Non è stata pure chiamata un incidente isolato la morte di ciascuno dei 42 soldati che sono morti negli ultimi tre anni e mezzo? Sentiamo che Atene, Thessalonica ed un sempre crescente numero di città in Grecia sono diventate campi di agitazione sociale, campi dove viene recitato fino in fondo il risentimento di migliaia di giovani, di lavoratori e di disoccupati. Vestiti con uniformi dell’esercito ed "abbigliamento da lavoro", facendo la guardia al campo o correndo per commissioni, facendo i servitori dei "superiori", ci troviamo ancora lì [in quegli stessi campi]. Abbiamo vissuto, come studenti universitari, come lavoratori e come disperatamente disoccupati, le loro "pentole d’argilla", i "ritorni di fiamma accidentali" , i "proiettili deviati", la disperazione della precarietà, dello sfruttamento, dei licenziamenti e dei procedimenti giudiziari. Ascoltiamo i mormorii e le insinuazioni degli ufficiali dell’esercito, ascoltiamo le minacce del governo, rese pubbliche, sull’imposizione dello "stato d’allarme". Sappiamo molto bene cosa ciò significhi. Viviamo attraverso l’intensificazione [del lavoro], aumentate mansioni [dell’esercito] , condizioni estreme con un dito sul grilletto. Ieri ci è stato ordinato di stare attenti e di "tenere gli occhi aperti". Ci chiediamo: A CHI CI AVETE ORDINATO DI STARE ATTENTI? Oggi ci è stato ordinato di stare pronti ed in allarme. Ci chiediamo? VERSO CHI DOVREMMO STARE IN ALLARME? Ci avete ordinato di stare pronti a far osservare lo stato di ALLARME:
• Distribuzione di armi cariche in certe unità dell’Attica [dove si trova Atene] accompagnata anche dall’ordine di usarle contro i civili se minacciate. (per esempio, una unità dell’esercito a Menidi, vicino agli attacchi contro la stazione di polizia di Zephiri)
• Distribuzione di baionette ai soldati ad Evros [lungo la frontiera turca]
• Infondere la paura nei dimostranti spostando i plotoni nell’area periferica dei campi dell’esercito
• Spostare per protezione i veicoli della polizia nei campi dell’esercito a Nayplio-Tripoli- Korinthos
• Il "confronto" da parte del maggiore I. Konstantaros nel campo di addestramento per reclute di Thiva riguardo l’identificazione di soldati con negozianti la cui proprietà è stata danneggiata
• Distribuzione di proiettili di plastica nel campo di addestramento per reclute di Corinto e l’ordine di sparare contro i nostri concittadini se si muovessero "minacciosamente" (nei riguardi di chi???)
• Disporre una unità speciale alla statua del "Milite ignoto" giusto di fronte ai dimostranti sabato 13 dicembre come pure mettere in posizione i soldati del campo di addestramento per reclute di Nayplio contro la manifestazione dei lavoratori
• Minacciare i cittadini con Unità Operazioni Speciali dalla Germania e dall’Italia - nel ruolo di un esercito di occupazione - rivelando così il vero volto anti-lavoratori/ autoritario della U.E. La polizia che spara prendendo a bersaglio le rivolte sociali presenti e future. E’ per questo che preparano un esercito che assuma i compiti di una forza di polizia e la società ad accettare il ritorno all’esercito del totalitarismo riformato. Ci stanno preparando ad opporci ai nostri amici, ai nostri conoscenti ed ai nostri fratelli e sorelle. Ci stanno preparando ad opporci ai nostri precedenti e futuri colleghi al lavoro ed a scuola.
Questa sequenza di misure dimostra che la leadership dell’esercito, della polizia e l’approvazione di Hinofotis (ex membro dell’esercito professionale, attualmente vice ministro degli interni, responsabile per "agitazioni" interne), del QG dell’esercito, dell’intero governo, delle direttive della U.E., dei negozianti-come- cittadini- infuriati e dei gruppi di estrema destra mirano ad utilizzare le forze armate come un esercito di occupazione - non ci chiamate "corpo di pace" quando ci mandate all’estero a fare esattamente le stesse cose? - nelle città dove siamo cresciuti, nei quartieri e nelle strade dove abbiamo camminato. La leadership politica e militare dimentica che siamo parte della stessa gioventù.
Dimenticano che siamo carne della carne di una gioventù che sta di fronte al deserto del reale all’interno ed all’esterno dei campi dell’esercito. Di una gioventù che è furibonda, non sottomessa e, ancora più importante, SENZA PAURA. SIAMO CIVILI IN UNIFORME. Non accetteremo di diventare strumenti gratuiti della paura che alcuni cercano di instillare nella società come uno spaventapasseri. Non accetteremo di diventare una forza di repressione e di terrore.
Non ci opporremo al popolo con il quale dividiamo quegli stessi timori, bisogni e desideri/lo stesso futuro comune, gli stessi pericoli e le stesse speranze. CI RIFIUTIAMO DI SCENDERE IN STRADA PER CONTO DI QUALSIASI STATO D’ALLARME CONTRO I NOSTRI FRATELLI E SORELLE. Come gioventù in uniforme, esprimiamo la nostra solidarietà al popolo che lotta e urliamo che non diventeremo delle pedine dello stato di polizia e della repressione di stato.
Non ci opporremo mai al nostro popolo. Non permetteremo nei corpi dell’esercito l’imposizione di una situazione che ricordi i "giorni del 1967"

mercoledì 24 dicembre 2008

Se gli studenti tornano in piazza

In Spagna i giovani si mobilitano contro la riforma dell'università. Cos'hanno in comune con i ragazzi italiani, greci o francesi? Ritratto di un movimento che può incendiare l'intera Europa.

"Ce n'è voluto per farti venire qui stasera?". E' con queste parole che mi accoglie Pablo Pérez, uno studente di vent'anni con lo sguardo da bambino. Con altri trenta studenti, Pablo sta partecipando all'occupazione del rettorato dell'università di Siviglia. E' appena uscito da una riunione con i rappresentanti di tutte le facoltà. Nell'aula di storia è ora di cena. Alcuni mangiano, altri guardano Brian di Nazareth accalcati intorno ad un computer. Più tardi ci si dovrà mettere al lavoro: organizzare riunioni, preparare iniziative, striscioni, dibattiti con i professori.
Pablo e i suoi amici appartengono a quel gruppo di studenti che, con pochi mezzi e molta determinazione è riuscito a mobilitare migliaia di ragazzi contro il cosiddetto processo di Bologna. La protesta ha coinvolto cinque grandi università (due a Barcellona, la Complutense di Madrid, Valencia e Siviglia) e preoccupa le autorità universitarie e il governo. Ma com'è possibile che un progetto per la riforma dell'università europea sottoscritto a Bologna nel 1999 da 29 paesi per rendere più moderna e internazionale l'istruzione superiore, si sia trasformato nove anni dopo in un catalizzatore di proteste, manifestazioni e occupazioni?
Molti universiari ammettono di non conoscere bene il contenuto della riforma, ma la maggioranza ne ha una pessima opinione grazie alla mobilitazione di alcuni gruppi di studenti, che hanno coinvolto nelle proteste anche le scuole superiori e i licei. Margini per tornare indietro e bloccare la protesta non ce ne sono. E comunque gli amministratori degli atenei e i leader politici non sono stati capaci di dissipare i fantasmi della privatizzazione, della mercificazione del sapere e degli altri difetti di cui è accusato il processo di riforma nato a Bologna.
Gli univeristari temono che le aziende finiranno per interferire con l'insegnamento, che le lauree in lettere spariranno perchè non riusciranno ad ottenere finanziamenti privati e che diminuiranno le borse di studio. Un'altra preoccupazione diffusa è che i master -molto più costosi della laurea di primo livello- diventino uno strumento essenziale per trovare un lavoro decente.
Gli errori del governo
Nei campus universitari spagnoli è in corso una lotta impari tra i ragazzi, che comunicano attraverso l'email e i siti di social networking, e gli amministratori, ancora legati ai comunicati da appendere in bacheca. In questo campo, le istituzioni stanno subendo una clamorosa sconfitta. Ed è per questo che i rettori hanno chiesto aiuto al governo.
Ma chi sono gli studentoi che hanno messo in crisi le università? Secondo gli osservatori più critici si tratta di teppisti senza cervello. Per molti altri, invece, sono giovani anticonformisti che protestano senza sapere bene perchè. Borja Pérez, studente di geografia all'università di Siviglia, ha ottimi voti e si interessa al processo di Bologna da anni. Olga Arnaiz ha ventiquattro anni, già due lauree in tasca e due dottorati in vista. Figlia di un giornalista, fa parte del gruppo che coordina la mobilitazione alla Complutense di Madrid.
Per Laura Flores, diciannove anni, al secondo anno di diritto all'università di Siviglia, o per Inés Càmara, matricola belle arti alla Complutense, vivere intensamnte l'università significa anche battersi contro la riforma. "Alcuni si organizzano con le lezioni come meglio possono, altri per adesso hanno smesso di seguirle e si occupano delle proteste a tempo pieno", spiega Mario Souto, studente del terzo anno di fisica a Madrid.
Le attività legate alle proteste occupano gran parte del tempo degli studenti: bisogna organizzare gruppi, preparare i testi informativi, partecipare alle riunioni di coordinamento con le altre facoltà, organizzare i dibattiti e decidere quali azioni concrete realizzare. Lo zoccolo duro è composto da circa quaranta o cinquanta studenti per ogni facoltà, ma la partecipazione è molto più vasta: il movimento è eterogeneo e aperto, e per dire la propria basta essere presenti alle assemblee e alzare la mano.
Osservando la mobilitazione, si capisce che i luoghi comuni sulla scarsa voglia di studiare dei giovani che protestano non hanno nessun fondamento. I primi ad ammetterlo sono i docenti, spesso perplessi nel vedere i loro allivei che partecipano alle assemblee. A volte, raccontano, nei discorsi che si sentono negli atenei spagnoli c'è ancora l'eco del sessantotto, di cui i ragazzi parlano senza saperne molto.
I più coinvolti di solito sono gli studenti delle facoltà umanisitiche. "E' ovvio che sia così. La riforma minaccia soprattutto loro", spiega Javi Ruiz, dell'univeristà di Valencia, dicannove anni e iscritto al terzo anno di filosofia. Nel suo ateneo gli studenti hanno occupato sette facoltà: geografia e storia, filosofia scienze dell'educazione, filologia, psicologia, medicina ed educazione fisica. Virginia Ballestereos è tra i membri dell'assemblea che coordina le proteste. Ha vent'anni ed è al terzo anno di flosofia. "Durante l'estate" dice "abbiamo studiato la strategia usata nelle occupazioni organizzate a Madrid. Volevamo fare qualcosa perchè non eravamo d'accordo con il piano di studi".
Il racconto di alcuni professori di Virginia, che preferiscono rimanere anonimi, completa il quadro e aggiunge dettagli su com'è cominicata la mobilitazione: "E' successo tutto a filosofia. Sono riusciti a convocare più di mille studenti a un incontro con il rettore, Francsco Tomàs, che aveva accettato di dialogare con loro. Tre aule piene. Così è nato il movimento. La maggior parte dei ragazzi ha cominciato a sentir parlare del processo di Bologna solo allora".
Il passo successivo è stato presentarsi alle elezioni del senato universitario. Il movimento è riuscito a far eleggere alcuni rappresentanti, garantendosi così la possibilità di far sentire la sua voce al di là delle proteste e delle occupazioni. Gli studenti hanno fatto lo stesso alle elezioni di ogni consiglio di facoltà, seguiti poi dagli altri atenei (ndr, l'Onda Anomala della Sapienza è irrapresentabile e quindi ciò ha permesso la presenza nel senato accademico di componenti a noi ostacolanti come Azione Universitaria e Comunione&Liberazione; correggetemi se sbaglio!). Virginia spiega che i contatti avvengono via email, attraverso una pagina web e un forum online. Gli studenti chiedono maggiori investimenti per l'istruzione superiore e contestano le autorità che pretendono di mettere in moto la riforma di Bologna senza spendere nulla e con le università già piene di debiti. Sotto accusa ci sono il governo e le amministrazioni locali.
Le occupazioni sono i principali luoghi di incontro e di studio. Nelle assemblee aperte nascono gruppi di lavoro e commissioni, che si occupano della comunicazione, di trovare i fondi per finanziare le mobilitazioni, di studiare e di scrivere documenti e comunicati stampa. Tutto il lavoro fa capo ai gruppi di coordinamento che regolano i rapporti tra le assemblee.
Secondo Carlos Berzosa, il rettore della Complutense, gli studenti "hanno tutto il diritto di esprimersi, discutere e chiedere informazioni ma la mancanza. Ma la mancanza di rispetto per le persone o per i beni pubblici e l'interruzione del normale funzionamento dell'università sono inaccettabili". Nonostante queste parole, il suo atteggiamento, come quello di tutti i rettori, è conciliante: "Invitiamo gli studenti a partecipare all'elaborazione dei piani di studio. Contiamo su di loro per garantire una didattica di qualità".
Denunce e occpuazioni
All'Univeristat Autònoma di Barcellona, l'unico indizio da cui si intuisce che è in corso una protesta sono le scritte contro la riforma. Sono ovunque: per terra, sui muri, sulle scale. Anche se l'atmosfera è tranquilla e di assoluta normalità, è qui che si concentra la mobilitazione più forte contro il processo di Bologna. Il campus è come una piccola città. Costruito in mezzo alla campagna, ha un aspetto moderno, anche se ha già qualche decennio, e ospita circa quarantamila studenti. "Oggi ci sono dunque facoltà occupate: lettere, comunicazione, psicologia, scienze dell'educazione e scienze politiche, dove però la didattica è stata sospesa solo in parte", spiega Sergi Varavaca, uno degli studenti dell'assemblea di lettere.
In tutte queste facoltà a volte gli studenti impediscono lo svolgimento delle lezioni e non fanno entrare i docenti in aula. Ma l'atmosfera più tesa si respira a lettere, dove ci sono circa quattromila studneti divisi in otto corsi di laurea. Alcuni professori vivono la mobilitazione che va avanti da mesi, con grande tensione; altri affermano di capire le ragioni dei ragazzi. In questi giorni il principale argomento di dibattito all'Autònoma è la situazione dei ventisette studenti su cui pende una denucnica per alcuni disordini che risalgono alla fine di maggio. I ragazzi rischiano di essere espulsi per un periodo che può variare tra uno e unidici anni. [...]
Sulle occupazioni spesso le opinioni di studenti, professori e personale sono diverse. Alcuni considerano le manifestazioni delle ragazzate, mentre altri ritengono che sia arrivato il momento di prendere dei provvedimenti. Non è accettabile, afferma il rettore dell'Autònoma Lluìs Ferer, un modello di università "in cui si consenta a dei gruppi di studenti di interompere le lezioni. Bisogna scegliere da che parte stare e ci devono essere regole minime per impedire aggressioni alle cose o alle persone. Temo che alla fine queste proteste finiranno per danneggiare l'università pubblica e per avvantaggiare quella privata". Intanto, spiega Sergi Varavaca, i ragazzi stanno chiedendo il ritiro delle denunce.
L'altra richiesta avanzata dall'assemblea dell'Autònoma è la convinzocazione di un referendum vincolante in cui tutta la comunità univeristaria possa votare per decidere se bloccare il processo di Bologna. In realtà una consultazione pubblica è già in programma in tutti gli atenei catalani, ma non ha carattere vincolante. "Se la riforma dovesse passare comunque, vogliamo un aumento degli investimenti pubblici per la sua applicazione", speiga Sergi.
Molti studenti appoggiano queste richieste, ma molti altri chiedono che la vita accademica torni alla normalità. La maggior parte di quelli che sono contrari alla riforma ma non partecipano ale assemblee sembra, invece, avere le idee confuse. Alcuni hanno imori infondati: per esempio la scomparsa del corso di laurea in storia dell'arte e la sostituzione delle borse di studio con il sistema dei prestiti d'onore, da restituire una volta trovato lavoro.
Entrambe le novità sono state smentite ufficialmente dal governo e dalle autorità universitarie, ma gli studneti continuano a temere che il nuovo sistema metterà un'ipoteca sulla loro esistenza. Sono quste paure ad aver sinto molti ragazzi ad aderire al movimento: l'ingresso dei privati nel finanziamento degli atenei e la scomparsa delle facoltà meno redditizie sono le preoccuapazioni più diffuse nelle assemblee.
Informazione e democrazia
A circa quindici chilometri dal campus dell'Autònoma c'è la città. In pieno centro altri studenti hanno occupato il rettorato e tre facoltà dell'Universitat de Barcelona, ma le lezioni sono state interrotte. "Non sarebbe coerente, noi siamo per una migliore qualità dell'insegnamento", spiegano alcuni ragazzi. er risolvere il problema, continuano, bisogna dare informazioni corrette sul processo di Bologna e sulle sue vere conseguenze. Secondo loro, le colpe sono del governo e delle università, che ora sono chiamate a trovare soluzioni pratiche per i singoli problemi -dell'organizzazione delle borse di studio al prezzo dei master- e che dovranno evitare la mercificazione dell'insegnamento.
Tutti sono molto impegnati nella mobilitazione. A motivarli è soprattutto la voglia di democrazia: le istituzioni, accusano, li hanno scavalcati e non hanno chiesto il loro parere sulla riforma, che nessuno si è preso nemmeno la briga di spiegargli.
Gli studenti che oggi manifestano contro il processo di Bologna sono idealisti e hanno un'idea del bene pubblico che fa a pugni con la realtà. Inoltre hanno un forte senso di appartenenza all'università, dove passano la maggior parte delle loro giornate. "L'università non appartiene ai rettori nè ai ministri. L'università siamo noi studenti, i professori e il resto del personale", spiegano i ragazzi della Complutense di Madrid.
Così si torna al cuore della questione: gli studenti hanno l'impressione che nessuno abbia preso in considerazione le loro idee, scontano un grave deficit di partecipazione democratica e una precarietà lavorativa a cui si sentono inevitabilmente destinati, soprattutto i laureati nella materie umanistiche. Il futuro di questo movimento è difficile da prevedere. Molti docenti sono convinti che le occupazioni non potranno reggere a lungo, e un gran numero di studenti è contrario alle interruzioni della didattica. Il governo si è impegnato a dare risposte concrete alle domande dei ragazzi. Ma la macchina organizzativa del movimento non si ferma: ora gli studenti hanno creato un sito che raccoglie tutte le informazioni in arrivo dalle assemblee delle università mobilitate.
Anche se sanno di non essere la maggioranza, i partecipanti alle occupazioni assicurano che non interromperanno la loro lotta.

Susana Pérez de Pablo e J.A. Aunion, El Pais. Tratto da Internazionale n°775

giovedì 18 dicembre 2008

Alle 20:45 di ieri 17 dicembre 2008 in cento, tra studenti e dottorandi dell'Onda romana (Sapienza e Roma 3), abbiamo fatto irruzione all'interno del teatro Argentina. Al grido "Noi la crisi non la paghiamo" abbiamo conquistato il palco e abbiamo letto un comunicato, frutto del lavoro dell'assemblea tematica su "Welfare e nuovi diritti". Il direttore di sala ci ha invitato a rimanere e dunque abbiamo potuto assistere gratuitamente allo spettacolo Porcile, scritto da Pasolini e con la regia di Massimo Castri.
L'azione di ieri è la seconda, dopo quella di tre settimane fa avvenuta presso il teatro Valle, l'obiettivo è quello di ottenere un tavolo con l'Eti (Valle e Quirino) e con l'associazione Teatro di Roma (Argentina, India etc.) al fine di contrattare una tariffa ridotta per gli studenti (non più di 5 euro) almeno due volte alla settimana.

La cultura è un diritto, l'accesso va garantito a tutte e tutti!

Al termine dello spettacolo la compagnia ha letto un comunicato in cui si è detta felice di aver recitato per l'Onda.
Una grandissima soddisfazione, un modo splendido per chiudere l'anno in bellezza!

Il movimento non si ferma!
Fuori, per strada, nei teatri, nelle facoltà, nelle relazioni, nella quotidianità, nel dissenso, nelle passioni, nelle rotture, nelle divergenze, nell'unanimità, nelle differenze, nelle pratiche dirette, nelle corse improvvise, nelle strade conquistate!

Fuori il mondo è tutto da costruire!

domenica 14 dicembre 2008

giovedì 11 dicembre 2008

Manifesto di Studi Orientali

Ognuno di noi, nell'aderire allo sciopero generale di Venerdì 12 Dicembre, si trova nella condizione di rispondere alla domanda: “Perché scendo in piazza?”
La Facoltà di Studi Orientali vuole rispondere pubblicamente a questa domanda per contribuire al dibattito collettivo.
Per noi scendere in piazza significa prima di tutto pretendere di essere ascoltati e rispettati come persone, la cui coscienza è in grado di formulare opinioni autonome. Per questo è inaccettabile che i nostri governanti parlino di limitare le manifestazioni: dovrebbero piuttosto capire le nostre ragioni e rimettere in discussione le proprie scelte.

Blocchiamo la città perché tutti conoscano la nostra voce, e lo facciamo in modo rispettoso perché la gente possa sentire la nostra rabbia senza averne paura. La nostra protesta ha toni decisi ma è aperta al confronto, affinché ogni persona che ci incontra possa riconoscersi nelle nostre idee, che prescindono da qualsiasi ideologia o bandiera politica.
Questa giornata ci permetterà di interloquire con tutti gli strati della popolazione che la crisi non l'hanno prodotta e non la vogliono nè la possono pagare.
Infatti, la contestazione nata nelle scuole e nelle università si è generalizzata spontaneamente proprio perché i problemi portati dalla crisi economica globale toccano la maggior parte della popolazione.
L'estensione della nostra protesta alle altre categorie sociali non si basa semplicemente su un principio di solidarietà, ma verte su dei punti di rivendicazione comune che riguardano noi quanto loro.

Venerdì 12 Dicembre scendiamo in piazza per tutti questi motivi:

Per un sapere libero e realmente accessibile a tutti, perché la cultura e l'educazione possano essere considerate la vera ricchezza del nostro Paese. Pretendiamo dal Governo l'adeguamento alla media europea per quanto riguarda l'investimento pubblico sull'istruzione, l'università e la ricerca, da considerare in un momento di crisi economica come risorsa fondamentale per la crescita, e da sostenere quindi tramite il potenziamento dei servizi a favore degli studenti (case dello studente, biblioteche etc.)
[Ricordiamo che in questi mesi noi studenti abbiamo avviato un processo di autoriforma. Questa parola non indica lo studio fine a se stesso del sistema universitario ma rappresenta la nostra volontà di scardinare quei meccanismi di malfunzionamento che allontanano l'università dalle nostre esigenze. L’autoriforma è inoltre il tentativo di creare una coscienza politica collettiva, patrimonio di tutti gli studenti che non accettano più di vedere i propri diritti calpestati.]

Per una seria lotta all'evasione fiscale e controlli serrati sul sistema ISEE, perché il Governo non usi la crisi economica in modo retorico e pretestuoso per indebolire lo stato sociale che è a beneficio di tutti. Noi vogliamo che tutti contribuiscano, secondo le proprie ricchezze, al mantenimento di una società più equa e solidale.

Per la creazione di una vera mobilità sociale interna, perché non esistano caste né classi rigidamente definite.

Per la lotta, anche culturale, alla criminalità organizzata, perché lo spirito mafioso e massonico, tanto caro al nostro Paese, possa essere universalmente riconosciuto per ciò che è: un cancro sociale che schiaccia milioni di vite con la prepotenza. Noi pretendiamo che lo Stato non solo combatta la criminalità organizzata, ma che utilizzi parimenti le sue risorse per garantire delle serie alternative di vita ai giovani che nascono in quelle terre rese schiave.

Perché la logica del profitto non sia centrale nelle nostre scelte e l'attenzione al bene comune sia sempre garantita dallo Stato. Chiediamo massicci investimenti nelle energie pulite, chiediamo campagne di sensibilizzazione contro gli sprechi, chiediamo un ripensamento globale delle logiche di mercato, perché il profitto non sia l'unico orizzonte valutato e una crescita più lenta dell'economia possa lasciare il tempo di vivere più pienamente in una dimensione sociale collettiva.

Per un'informazione realmente libera ed equilibrata, perché giornali e televisioni siano lo strumento di verifica utilizzato da una società democratica nei confronti di chi la governa e non lo strumento di controllo dei poteri forti sulla società.

Per l'esclusione da tutti gli organi ufficiali di rappresentanza democratica, primi tra questi la Camera e il Senato, di tutti i pregiudicati, perché chi non sa rispettare le leggi che una società si dà in modo autonomo non può nemmeno permettersi di cambiarle o promulgarne di nuove.

Per l'aumento dei controlli sulle condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro e negli edifici scolastici, perché il benessere dell'individuo non può essere subordinato a motivazioni economiche.

Per una concreta integrazione degli stranieri nel nostro Paese, perché non vengano visti solo come un fastidio, magari necessario per svolgere quei lavori che noi consideriamo degradanti, perché l'integrazione sia scambio reciproco e non assimilazione unilaterale.

Perché lo Stato Italiano non sia più asservito ai desideri e alle richieste dello Stato Vaticano, il quale difende i propri interessi in campo sia economico (finanziamenti statali a scuole paritarie) che etico (opposizione alla moratoria mondiale per la depenalizzazione dell'omosessualità) con notevoli ingerenze in materia legislativa del nostro stato laico.

mercoledì 10 dicembre 2008

Conferenza: L'università di ieri oggi e domani 2/12

Ciao Tutti Orientalisti e Non! Anche se con 8 giorni di ritardo sono ora disponibili e leggibili a tutti i due articoli della conferenza del 2 Dicembre "L'università di ieri, oggi e domani".
Buona informazione!

ROMA- Si è tenuta ieri,2 Dicembre 2008, nell’Aula Magna della Facoltà di Studi Orientali (FSO) della “Sapienza”, la prima di un ciclo di conferenze a scadenza bisettimanale orientate al dibattito in merito alle recenti riforme governative. Il solito ginepraio di luoghi comuni e frasi fatte? No, anzi.
I tanto biasimati docenti e gli studenti hanno finalmente dato luogo a un confronto su una variante di temi di interesse comune, a partire proprio da quelle domande, a tratti persino “provocatorie”, che tanto hanno acceso gli animi nell’ultimo periodo.
Dopo una descrizione en passant delle riforme universitarie nell’ultimo decennio, seguita da un commento sui tagli della finanziaria, particolarmente mirati alla destrutturazione del sistema universitario piuttosto che a un reale controllo sulla sempre più istituzionalizzata evasione fiscale italiana, si è passati al dibattito vero e proprio: come funziona la valutazione della docenza? Che effetti avrà la riforma sulla Facoltà di Studi Orientali? Chi sono i baroni?
“E’un potere fondato sulla paura degli altri- risponde il prof. Arioli, ordinario di Lingua e Letteratura Araba nonché vicepreside di facoltà- (…)Fondare la FSO non è stata un’operazione facile, abbiamo incontrato una forte opposizione da parte dei docenti delle altre facoltà in formazione”.
Si tratta, in effetti, di una delle facoltà attivate nel marzo 2001 dal piano di decongestionamento adottato in seguito all’eccessivo aumento di iscrizioni registrato in quegli anni. Fondata da 19 membri di quello che era stato fino a quel momento il Dipartimento di Studi Orientali della facoltà di Lettere, è stata vivamente criticata proprio per l’esiguo numero di docenti che ne proponevano la creazione.
“Eravamo pochissimi- racconta la prof. Ciancaglini, professore associato di Glottologia e Linguistica- le altre facoltà, ad esempio quella di Lettere, si presentavano con duecento docenti in organico”.
Beh, il corso di laurea, a suo tempo,in osservazione e previsione del crescente numero di studenti (dai 1513 AA.1999-2000 ai 1571 AA 2000-2001 ai 2552 attuali- fonte:la Sapienza) è stato comunque attivato, seguito dalla pungente quanto sentita incitazione ai “colleghi affetti da elefantiasi da organico” a documentarsi sul numero di corsi di laurea che in Italia arrivavano (e tuttora persistono)a vantare un unico docente! Fermo restando che “un numero di per sé non è né piccolo né grande, e che questi due aggettivi hanno senso solo se messi in relazione con un’entità di riferimento(…)”.
Come debellare quindi l’eccessivo controllo che tale ristretto gruppo di “baroni” sembra esercitare sull’amministrazione universitaria? “Abbiamo un Ministero, perché non effettua delle verifiche a tappeto? - osserva il prof. Arioli – Deve essere un intervento chirurgico, non lo possiamo fare noi”.
Ma la questione della valutazione docenza e del sistema di reclutamento si presenta quanto mai travagliata. Diceva qualcuno, “quis custodiet ipsos custodes?” Chi controllerà i controllori? Chi deciderà, in definitiva, i parametri di valutazione dei valutatori?
Esistono vari sistemi di valutazione della docenza e della ricerca scientifica(accademica e non) basati notoriamente su criteri spesso poco condivisibili. Oggetto di discussione è stato il cosiddetto impact factor(“fattore d’impatto”), ovvero la frequenza con cui un dato articolo viene citato nel corso di un determinato periodo,frequenza che ne determinerebbe la “qualità”, sorvolando, certo, su tutti quei fattori che a livello di pubblicazioni definiscono la velocità di diffusione di un articolo a prescindere dal valore effettivo del suo contenuto.
Il recente decreto 180/2008, similmente, permette ai docenti di ottenere per intero lo scatto biennale di anzianità solo in base all’analisi del numero e del livello di scientificità delle pubblicazioni dei due anni precedenti (articolo 3-ter del decreto 180). “E’un sistema decisamente poco funzionale- afferma la prof. Ciancaglini - se si considera, ad esempio, che il tempo che intercorre tra la presentazione di un saggio e la sua effettiva pubblicazione varia dai sei mesi a un anno”. Si parla quindi di un raggio di valutazione parecchio limitato e limitante.
“Piuttosto - specifica la prof. Guazzone, professore associato di Storia Contemporanea dei Paesi Arabi - bisognerebbe rendere effettivi i sistemi di autovalutazione esistenti (ad esempio il PerCorso di Qualità della Sapienza) che sottopongono non solo la docenza ma l’efficacia stessa dei Corsi di di Studio a dei controlli con la collaborazione degli studenti; questo sistema deve e può raccordarsi a qualunque sistema di valutazione esterna, perché soltanto chi è interno al sistema può effettivamente essere in grado di giudicare il sistema stesso”.
D’altronde, il MIUR (Ministero Italiano dell’Università e della Ricerca)ha variamente dimostrato di non curarsi del parere effettivo di una classe di esperti nella redazione dei decreti. “Nonostante nessuno vi abbia fatto accenno – afferma la prof. Ciancaglini - ci tengo a precisare che un gruppo di esperti delle società linguistiche italiane ha redatto un documento che spiega, punto per punto, tutti i motivi per cui l’introduzione nel sistema delle classi ponte si pone come linguisticamente e socialmente fallimentare, documento che non è stato minimamente preso in considerazione”.
Invece, nel sistema universitario, è fondamentale richiedere una partecipazione di tutte le sue componenti delle quali gli studenti sono parte integrante. A suo tempo, ricorda la prof. Ciancaglini, è stato fondato il NAV (Nucleo d’Ateneo di Valutazione), che si poneva tra i vari obiettivi anche una valutazione della docenza secondo parametri oggettivi, quali la presenza, la costanza ecc., parametri ricavabili tramite questionari sottoposti direttamente agli studenti al termine di ogni corso. Ma, chiediamo alla prof. Ciancaglini, che valore effettivo hanno i suddetti questionari in fin dei conti? “Ancora non molto, ma man mano stanno acquisendo un certo valore, e a tal proposito invito tutti gli studenti che vogliano fare delle aggiunte o modifiche a rendermelo noto”.
Il rinnovato interesse da parte degli studenti per lo sviluppo e la crescita dell’università ha stimolato una reazione particolarmente positiva dei professori, ultimamente sempre più bollati come baroni e sempre meno come “guide”. “Quel che serve adesso – interviene il prof. Salviati, ricercatore di Storia dell’Arte dell’Estremo Oriente – è una presa di coscienza individuale: ognuno di noi è un tassello fondamentale nella società in cui vive, e non deve seguire nessun altro che se stesso in quanto parte di una democrazia che non va vista come momento di opposizione tra caste ma di confronto costruttivo”.
Quel che molti chiamano “baronato”, precisa il prof. Salviati, è una prerogativa della società umana in quanto tale sin dalla sua formazione. “Non siamo più evoluti di quando siamo scesi dagli alberi - ha affermato rifacendosi alla recente dichiarazione di Rita Levi Montalcini - e da sempre esistono gruppi di potere che si incentrano intorno a una figura di riferimento”.
Solleviamo quindi la domanda: il professor Masini, preside della facoltà di Studi Orientali, è un barone? Risponde Salviati, “Partendo dal presupposto che barone è un termine dispregiativo, il potere è in ogni caso uno strumento; se usato in modo intelligente, il risultato è quello ottenuto dalla FSO, ovvero una buona gestione derivata dalla cooperazione che non vede in alcun modo un “baronato”, risultante dalla paura. La FSO presenta su 2500 iscritti un corpo docente pari al 48% della pianta organica e interamente selezionato per eccellenza e con solida carriera accademica alle spalle. Continueremo a richiedere un reclutamento, poiché un basso numero di docenza penalizza in primo luogo gli studenti. E alla domanda se il prof. Masini è un barone rispondo: se Masini è un barone, ben vengano i baroni così, perché il potere è bene se è ben gestito. E viva il potere!”.
Conclusasi questa prima conferenza, gli studenti della Facoltà di Studi Orientali che in questi mesi si sono fatti promotori della diffusione di informazione all’interno della facoltà, hanno invitato i presenti alla partecipazione attiva ai gruppi di studio in corso, lanciando in ultimo la data del prossimo appuntamento per il 16 dicembre.

Irene Burrescia


ARIOLI- Il professor Arioli, docente di Lingua e traduzione araba nonché uno dei capisaldi della Facoltà di Studi Orientali è intervenuto pronunciandosi brevemente sul reclutamento dei professori e sulla differenza tra facoltà e facoltà, alcune delle quali (come quelle dell’ambito medico) sarebbero in qualche modo più legittimate ad avere fondi per la ricerca dovendosi occupare di problemi più emergenti in quanto primari nella vita umana (in particolare in riferimento alla salute). È poi passato a parlare dei così conosciuti come “baroni”. Di baroni, dice il professore, ce ne sono di tanti tipi (e non sono solo docenti ma anche ricercatori e così via) e fondano il loro potere sulla paura degli altri. Durante la sua lunga vita accademica il professor Arioli ne ha incontrati alcuni. Prima della nascita della Facoltà di Studi Orientali, sorta dalla divisione di alcune facoltà e grazie alla richiesta sempre più crescente degli studenti ad uno studio più accessibile verso queste lingue orientali (per avere più occasioni di lavoro), il professor Arioli insieme ad altri colleghi parlavano di alcuni fondi (che si dividono in fondi di ricerca e fondi di docenza), in particolare quelli per la docenza (che servono a reclutare i professori nelle università), e si chiedevano se non era il caso di ridiscutere di dove mandare questi fondi. Infine il professore e i suoi colleghi si opposero al baronaggio e con la divisione da Lettere nasce la Facoltà di Studi Orientali. Nella sezione “Archivio minimo” del sito di facoltà, di cui il professor Arioli è il webmaster, è presente una pagina di qualche anno fa riguardante la destinazione dei fondi di docenza. Alla lettura di un documento commissionato alcuni docenti di Studi Orientali andarono via perché l’idea che si erano messi in testa il professor Arioli ed alcuni colleghi di contrastare il potere di certi baroni aveva scatenato in loro una reazione di paura.
Ogni riforma che riguarda i docenti in realtà è un sotterfugio e un modo per tagliare le gambe a personaggi competenti. Un modo è di promuover il sorteggio, l’altro è di togliere concorsi.
Non ci sono parametri oggettivi per reclutare i docenti. Il Ministero della Pubblica Istruzione dovrebbe andare di ateneo in ateneo per verificare la presenza effettiva o meno di certi “rami secchi” e confermare i dati sconcertanti sugli sprechi. È importante un intervento preciso e dettagliato da parte del Ministero.
È anche importante non confondere la ricerca con la didattica che si sta danneggiando attraverso il reclutamento di un professore in sostituzione di cinque ex professori in via di pensionamento: in questo modo in pochi anni le statistiche diventeranno allarmanti. Le riforme dovrebbero essere mirate e non inutili. La riforma della Moratti, paradossalmente, per alcune cose è stata provvidenziale perché prima di questa riforma alla specialistica non c’era molta scelta di materie. Le riforme non puntano ad un investimento pubblico sulla ricerca diversamente all’Unione Europea mentre ci sarebbero cose da tagliare davvero. Altre forme di spreco contrarie all’università vengono effettuate con scelte poco trasparenti.

CIANCAGLINI- Professoressa di Glottologia, si è espressa in modo particolare sulla valutazione della docenza la quale non è vero che non è controllata. Ci sono tre criteri per valutare la docenza:
1) in base all’attività scientifica
2) in base all’attività didattica
3) in base all’attività organizzativa/amministrativa
fra cui la prima è quella più complessa.
Quando si vince un concorso si deve essere valutati per 3 anni in base all’attività didattica e a quella scientifica. Se non si passa questa valutazione, nel caso di un associato, si ha ancora un anno di tempo per migliorare la situazione e se la valutazione finale è ancora negativa si retrocede di grado o si perde la qualifica. Se si supera questa valutazione ogni 2 anni si deve presentare una relazione scientifica e didattica. Sul sito della CINECA sono presenti i dati dei professori per quanto riguarda le pubblicazioni scientifiche. L’attività scientifica non è mai del tutto oggettiva ma ci sono dei criteri obiettivi: la CIVR valuta i prodotti di questo sistema.
Alcuni parametri obiettivi, per esempio, sono:
- la pubblicazione in inglese ha più valore di una pubblicazione in italiano,
- le riviste inglesi valgono di più perché hanno un comitato che approva o meno quell’articolo,
- l’importanza si assume in base all’accumulo di citazioni (che però è poco attendibile perché le citazioni possono essere fatte da colleghi vicini con i quali si scambia il favore della citazione o perché queste citazioni possono essere fatte a prescindere dall’importanza o meno dell’argomento in questione- si può essere citati molto di più per aver detto un’assurdità piuttosto che per aver affrontato un argomento davvero interessante).
Con il decreto 180, lo scatto biennale dello stipendio verrà fatto se nel biennio precedente il docente ha pubblicato dei resoconti sul lavoro fatto (ma i criteri di valutazione saranno pubblicati dal Governo solo dopo 2 mesi dall’uscita della 180 del 10 novembre).
Ad ogni modo la valutazione dei docenti è molto più capillare rispetto a prima.
Il problema di fondo delle riforme sull’Università è che l’Università è vista con ostilità perché è ancora “una sacca di resistenza pensante”. Nel caso di questa legge, attraverso le storie sui baroni, si è puntato molto sul contrasto fra docenti e studenti.
Mentre in Francia (come in altri paesi europei) si è investito sull’Università per superare la crisi, qui in Italia tutti i decreti puntano a tagliare fondi. E questi tagli sono effettuati da persone in qualificate a svolgere questi compiti. Per non parlare di alcuni punti dei decreti che sono davvero maschere di razzismo e quant’altro (vedi classi ponte, le classi per bambini stranieri che vengono isolati dal resto dei bambini italiani).
E non si prende affatto in considerazione l’opinione di esperti come non si è parlato del documento ufficiale stilato da esperti di Glottodidattica contro le classi ponte, documento che esprime un durissimo dissenso verso certe disposizioni.
Una ragazza è poi intervenuta ribadendo la mancanza di persone (al Governo) preparate sull’Università (magari provenienti dall’ambiente universitario) all’interno della classe dirigente che promuove queste riforme. Ha poi affermato che la Facoltà di Studi Orientali non è rappresentata dal Ministero il quale obbliga certe materie (si parla in particolare delle lingue) ad essere insegnate in un certo tot di ore.
La professoressa Ciancaglini ha menzionato la lettera che il professor Torella ha mandato a Santoro, conduttore del programma “Anno Zero”, riguardo all’inopportuno risolino del politico Barbareschi su materie da lui reputate poco utili. In generale la professoressa ha espresso il suo rammarico verso l’ignoranza inopportuna di certi politici che continuano a sostenere di poter essere in grado di sapere in prima persona quali ricerche e quali studi debbano andare avanti rispetto ad altri offendendo l’intero corpo docenti, ricercatori (…) che sono davvero gli unici competenti del campo.
Il rappresentante degli studenti Pacini ha osservato che potrebbe almeno esserci dei criteri minimi di controllo sulla metodologia d’insegnamento e sulla competenza di un docente.
La Ciancaglini ha continuato dicendo che esiste il NAV che si occupa di fare dei questionari di valutazione e che è possibile anche da parte degli studenti (che nel caso degli studenti di S.O. devono riferirsi alle professoresse Ciancaglini e Rossi) partecipare suggerendo (entro giugno) domande da far inserire nel questionario per la valutazione.
La professoressa ha poi fatto una differenza fra i baroni che danneggiano poco e quelli che danneggiano seriamente il sistema universitario. Ha continuato dicendo che la storia dei baroni è uscita fuori solo perché il Governo sia legittimato a tagliare fondi “contro i baroni” (il tutto, casualmente, in concomitanza con la crisi Alitalia). Il problema di fondo è nella mentalità e la valutazione è necessaria per contrastare la rovina.

GUAZZONE- La professoressa Guazzone ha fatto il punto della situazione dicendo che fino a quel punto era emerso fuori come il problema universitario si inserisca in un contesto più ampio che va dalla politica all’economia del paese. Ha poi spiegato che esistono criteri di valutazione anche per quanto riguarda l’efficienza dei corsi di laurea mentre non ne esiste uno per la gestione per la quale non si viene pagati. È emerso che le ore di docenza non sono definite e che il tempo dedicato alla gestione e quello dedicato alla ricerca è lasciato alla buona volontà del docente e vi grava sopra senza alcun criterio di valutazione. Bisogna valorizzare questo lavoro che sta dietro ai docenti anche rendendo consapevoli gli studenti (ma non solo gli studenti). La valutazione è divisa in:
1) valutazione degli atenei
2) valutazione dei percorsi degli enti di valutazione sulle commissioni

SALVIATI- Ha affermato che la situazione di S.O. è migliore rispetto ad altre facoltà e che abbiamo prospettive privilegiate rispetto ad altri. Rifacendosi al discorso del professor Arioli sul baronaggio, ha detto che quello peggiore è quello politico. Basta guardare la possibilità limitata di entrare a far parte dello staff di Veltroni o dei sindacati (e così via), entrata che, eventualmente, non avviene grazie al merito e alla preparazione del singolo. Riferendosi al discorso pronunciato dalla Montalcini qualche giorno prima e riproponendone le parole afferma che l’uomo odierno è essenzialmente come quello primitivo perché pensa ancora alla sopravvivenza del proprio clan (politico, lavorativo..) mentre basterebbero piccoli gesti del governo (e non solo nell’ambito dell’istruzione) per migliorare la situazione nel mondo (in riferimento alla povertà in Africa che si potrebbe eliminare attraverso operazioni sul PIL dei paesi europei). Il fatto è che chi ci governa non ha la volontà per migliorare le cose e quello che passa sotto gli occhi di tutti è che “più si è malfattori più vivi meglio”. L’importante è che ognuno diventi cosciente individualmente perché ognuno di noi è un tassello importante per la società. L’importanza di questo dibattito riguarda soprattutto la democrazia non demagogica. Il confronto serve a migliorare le cose e l’assemblea prende importanza anche solo come scambio di idee. Per quanto riguarda il lavoro, il professore ricorda che nonostante avesse ricevuto alcune offerte di lavoro all’estero, ha voluto continuare la sua carriera in Italia perché voleva continuare a servire questo paese e che, bene o male, tutti i laureati riescono a trovare lavoro.
Conta molto la gestione del potere e cosa fai nella società ma anche quali strumenti vengono dati. Se il potere è usato in modo intelligente il risultato è come la Facoltà di Studi Orientali, risultato di una serie di combinazioni che includono figure come Masini o studenti come i presenti che si mobilitano. Riprendendo il discorso del professor Arioli sulla paura verso i baroni afferma che a Studi Orientali sono tutti approdati per qualità la quale se manca danneggia soprattutto gli studenti ma non solo. Infine, conclude rispondendo al rappresentante degli studenti Pacini (che ha scherzosamente espresso il desiderio di sapere se Masini fosse o no uno di quei baroni) dicendo che se Masini è uno di quei baroni “ben vengano i baroni così, e allora: viva il potere”.

Silvia

martedì 9 dicembre 2008

Appello della Sapienza verso lo sciopero generale del 12 dicembre

Alle lavoratrici e ai lavoratori, agli studenti medi, ai precari, ai migranti, ai movimenti di lotta per l'abitare e in difesa dei beni comuni, ai sindacati che promuovono lo sciopero
L'appello che vi rivolgiamo parla di una sfida che non riguarda solo noi, ma riguarda tutte e tutti. Il 12 dicembre ci attende una giornata di grande importanza il cui esito potrà segnare gli equilibri politici e sociali di questo paese: lo sciopero generale in primo luogo indetto dalla Fiom e dalla Cgil funzione pubblica, poi dalla Cgil tutta, infine dai sindacati di base (Cobas, Sdl, Cub), sarà una grande occasione di conflitto per chi non vuole subire l'arroganza di questo governo e per chi non vuole pagare sulla propria pelle la crisi di sistema che investe l'economia globale. L'indizione di questo sciopero generale è anche il frutto, vale la pena ricordarlo, della grande potenza dell'Onda, del movimento che da inizio settembre ha visto milioni di persone, tra studenti, insegnanti, ricercatori, docenti, bambini, mobilitarsi contro la definitiva dismissione della scuola e dell'università pubbliche. È stata proprio l'Onda, infatti, ad imporre una discontinuità politica e sociale nel paese: laddove tutto sembrava sconfitto con la tornata elettorale di aprile, una nuova generazione ha imposto dal basso una battuta d'arresto nella macchina di consenso del Governo. Attraverso lo slogan "Noi la crisi non la paghiamo" gli studenti hanno lanciato un segnale a tutti i soggetti sociali che nel mondo del lavoro e nelle esistenze concrete stanno subendo le ricadute di una dinamica recessiva di portata epocale. Il "Noi" dello slogan non è corporativo e non parla solo degli studenti: "Noi" sono tutti coloro che la crisi non l'hanno prodotta e che dunque non intendono pagarla. Che la paghino le imprese e le banche, questo il sottotesto dello slogan! Non siamo disposti a pagare questa crisi né possiamo accettare le scarne proposte del Governo, contenute nel pacchetto anti-crisi. La potenza dell'Onda è stata capace, dunque, di parlare alla società tutta e di trasformare tanto lo sciopero generale dei sindacati di base del 17 ottobre, quanto lo sciopero generale della scuola del 30 ottobre, in qualcosa di straordinario e di diverso dalle cose di sempre. Proprio l'autonomia del movimento studentesco ha reso possibile un'estensione senza pari delle mobilitazioni e una grande radicalità nei contenuti e nelle pratiche di lotta. Il 14 novembre, poi, rimarrà senz'altro nella memoria di tutti, come una delle più grandi manifestazioni di piazza auto-organizzata dagli studenti universitari e medi: più di 300.000 persone, infatti, hanno assediato Montecitorio e Palazzo Chigi, mettendo in scena materialmente l'isolamento sociale oltre che politico del Governo e della maggioranza.
A partire da queste considerazioni vorremmo dire alcune cose importanti in merito alla giornata del 12, giornata in cui pensiamo che lo sciopero generale debba quanto più possibile essere generalizzato dall'Onda e non solo. La premessa è che sarebbe stato auspicabile un corteo unitario di tutte le forze sindacali, ma conosciamo bene le differenze anche radicali delle piattaforme e non riteniamo che queste differenze possano essere ridotte a questioni di poco conto.
Per stringere davvero ed in maniera efficace una forte alleanza sociale non possiamo accontentarci semplicemente di scendere in piazza nella stessa giornata. Dobbiamo trovare una convergenza su alcuni contenuti che oggi appaiono decisivi e sui quali vogliamo assolutamente vincere, mantenendo sempre le proprie specificità, differenze e le proprie piattaforme di lotta, ma estraendo da queste delle rivendicazioni comuni a partire da quattro temi fondamentali: Scuola, Università, Precarietà e difesa dei territori e dei beni comuni. Per quanto riguarda noi, ci teniamo a mettere in chiaro gli elementi rivendicativi che più ci hanno caratterizzato e che in particolare ci caratterizzano in vista del 12. In primo luogo il rifiuto netto della legge 133, della legge 169 e del Dl 180 in via di approvazione, Dl che non cambia di nulla l'esigenza e la necessità di lottare contro il Governo e in particolare contro la Ministra Gelmini e di ribadire il nostro sforzo nel senso dell'autoriforma dell'università. In secondo luogo è per noi fondamentale ribadire la nostra ostilità nei confronti delle leggi bipartisan che hanno consentito in questi anni il processo di precarizzazione del lavoro, dal pacchetto Treu, alla legge 30. A maggior ragione vale la pena ribadirlo laddove, a partire dal mese di gennaio, 400.000 precari non saranno riassunti. Precari e lavoratori per cui deve essere assolutamente garantito e tutelato il diritto di sciopero. In terzo luogo riteniamo decisivo estendere ed allargare la battaglia per un nuovo welfare che parli di reddito diretto e indiretto (casa, servizi, cultura, diritto alla studio) per studenti, disoccupati e precari, nonché di salario minimo intercategoriale per tutti i lavoratori e lavoratrici. Infine il rifiuto delle privatizzazioni della sapere e della ricerca, e della devastazione ambientale e dei territori, al fine di difendere la totalità dei beni comuni. Vogliamo più finanziamenti all'università e scuola, che allo stato attuale sono indirizzati alla costruzione delle grandi opere pubbliche e alle spese militari. Su questi punti vorremmo, in questi giorni che ci separano dal 12, avviare una discussione proficua e non pregiudiziale.
Per quanto riguarda il 12, invece, pensiamo che sia naturale per l'Onda mantenere lo stesso stile assunto durante i precedenti scioperi generali: un corteo autonomo che sappia però interloquire con tutti i lavoratori e attraversare, materialmente e non solo simbolicamente, le manifestazioni sindacali. Questo non toglie che è nostro interesse parlare con quei tanti lavoratori che pur essendo iscritti alla Cgil vedono nell'Onda e nella sue rivendicazioni un'opportunità di cambiamento radicale valido per tutti. Oltre a parlare con i lavoratori è nostro interesse, però, attraversare la città e paralizzarne il traffico, così come abbiamo fatto in questi mesi, generalizzando tanto lo sciopero del 17, quanto quello del 30 ottobre. Invitiamo inoltre, tutti i movimenti cittadini e regionali, dai movimenti per l'abitare a quelli a difesa dei beni comuni, le reti migranti, i lavoratori precari, le esperienze dell'autogestione, tutti coloro che guardano con favore alla novità dell'Onda e che non sempre sono rappresentati dalle compagini sindacali, a convergere in piazzale Aldo Moro e muoversi in corteo con noi.

Con la convinzione che l'Onda diventerà ancora una mareggiata

Generalizziamo lo sciopero del 12 dicembre!

Sapienza in mobilitazione